“Un Natale più povero di fiducia e speranza”. Si abbassa l’età media di chi si rivolge alla Caritas: “La metà sono italiani, molti cercano un tetto”



Si sentono ancora forti le conseguenze della pandemia. “Ogni sorriso e ogni sguardo d’amore che si riceve è un motivo più che buono per aiutare”
Padri separati, nuove categorie in difficoltà e famiglie che risentono ancora del contraccolpo della pandemia. Sono loro la maggior parte dei “fragili” in questo Natale, momento di convivialità e di aggregazione, ma anche motivo di riflessione verso i meno fortunati. A tre anni dallo scoppio della pandemia da coronavirus, infatti, molti sono stati i cambiamenti anche nel comprensorio del Cuoio che hanno portato numerose persone e famiglie a rivolgersi ad enti di beneficenza come la Caritas, modificando un’anagrafica spesso oggetto di luoghi comuni.
Ne abbiamo parlato con don Armando Zappolini, presidente del coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Michela De Vita, presidente della Pietra d’Angolo. “Potremmo dire – sottolinea Michela De Vita – che la pandemia ha fatto emergere ‘nuovi poveri’. Ovviamente è stata una tempesta che si è abbattuta su persone con un lavoro precario o che si basava su un contratto a tempo determinato, sicuramente la necessità che è emersa maggiormente dopo il lockdown è stata una difficoltà più che in ambito alimentare, in ambito abitale. Molte famiglie, soprattutto monoparentali, hanno riscontrato grandi difficoltà nel pagamento di utenze, mutui o affitti”.
Per questo sono aumentati sensibilmente, racconta don Zappolini, i casi di coabitazione, con spese suddivise tra i vari coinquilini o le richieste di pernottamento. “Prima della pandemia si rivolgevano a noi prevalentemente persone arrivate in Italia non da molto, il post covid ha livellato questa statistica: potremmo dire che il 50% dei nostri utenti per il Natale 2023 sono italiani. L’età media sicuramente si è abbassata: la maggioranza si concentra in una forbice che raccoglie dai trentenni ai sessantenni, che si è ampliata molto come quella delle disuguaglianze sociali, con pochissimi ricchi ancora più ricchi e molti poveri ancora più poveri”.
Un Natale più povero, per De Vita, “Ma più povero sotto molti punti di vista: è una povertà si economica, ma una povertà emotiva e soprattutto povertà di fiducia nel domani, al quale si guarda con meno speranze”. Depauperamento universale, tensioni familiari che sfociano in fratture insanabili e sfiducia nell’avvenire, questi alcuni degli strascichi che la pandemia ha lasciato dietro di sé. Non nascondendo che il rivolgersi a questi enti all’inizio possa creare “imbarazzo o vergogna”, specialmente nei confronti di chi sente la responsabilità di mantenere saldo un rapporto coi figli già ostacolato da una separazione o un divorzio. Perché, come ricorda don Zappolini “se si è poveri non è perché si è nati poveri, è perché lo si è diventati”.
Non è facile farlo sempre. Ma per chi si mette a disposizione, aiutare una persona o una famiglia in difficoltà è un dono. “Ogni sorriso e ogni sguardo d’amore – dicono entrambi – che si riceve, è un motivo più che buono per aiutare, anche se a volte, purtroppo non si hanno le risorse per risolvere completamente le situazioni. La migliore ricompensa è il fatto che non ci debbano nessuna ricompensa, fa parte della nostra scelta di vita, l’aiuto non deve comportare un debito”. E anzi, sentirsi utili e poter essere utili è un talento, oltre che un dono, che non dovrebbe mai essere sprecato.
Sotto l’albero quindi, oltre ai regali, i dolci e il riposo, vogliamo mettere l’esempio e la bellezza di chi, senza ricorrere allo shopping dell’ultimo minuto o allo sfarzo a tutti i costi, mostra il regalo più importante che questo periodo dovrebbe lasciare a tutti noi e lavora perché il domani sia chiaro e splendente per tutti.