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Covid, a Careggi lo studio sulla possibilità di prevedere l’esito dell’infezione dalle alterazioni di sodio

15 giugno 2021 | 16:37
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Covid, a Careggi lo studio sulla possibilità di prevedere l’esito dell’infezione dalle alterazioni di sodio

L’autore Alessandro Peri: “Il livello di sodio nel sangue, può essere un indicatore precoce di gravità nei pazienti affetti da Covid19”

Le alterazioni del sodio possono fornire indicazioni utili durante il ricovero rispetto alle possibilità di superare l’infezione da Covid19. E’ questo il risultato di uno studio basato sull’osservazione di 380 pazienti assistiti nell’Azienda ospedaliero universitaria fiorentina di Careggi, nella prima fase della pandemia.

A riportarlo è Alessandro Peri, autore dello studio pubblicato sull’European Journal of Endocrinology, e responsabile della Unit dedicata alle patologie ipotalamo-ipofisarie e alterazioni del sodio, all’interno della Sod complessa di endocrinologia di Careggi diretta dal Mario Maggi.

“Le concentrazioni sieriche del sodio – spiega Peri – fisiologicamente sono racchiuse in un intervallo compreso tra 135 e 145 milliequivalenti per litro. Vari studi, fra cui quello sul rapporto sodio e Covid-19 realizzato a Careggi, hanno evidenziato in diverse patologie un aumentato del rischio di mortalità quanto più ci si discosta da questi valori di riferimento. In particolare nello studio pubblicato ridotte concentrazioni di sodio nel sangue sono emerse nel 22.9% dei pazienti al momento del ricovero. Questa condizione si è evidenziata come indice di complessità di malattia nell’infezione da Covid19. In particolare, le concentrazioni di sodio nel sangue correlano in modo diretto con i parametri di funzione respiratoria e in modo inverso con i livelli della citochina pro-infiammatoria IL-6 coinvolta nel danno al tessuto polmonare”.

“L’iponatremia – aggiunge Peri – è risultata un fattore di rischio indipendente per il ricorso a sistemi di respirazione assistita e quindi al trasferimento dei pazienti in terapia intensiva. Ancor più rilevante è stata l’associazione tra iponatremia e maggior rischio di morte, fino a 2.7 volte in più rispetto ai pazienti con valori normali del sodio. Questi dati indicano come un parametro rapidamente ottenibile, come il livello di sodio nel sangue, può essere un indicatore precoce di gravità nei pazienti affetti da Covid-19 e quindi essere di utilità clinica per identificare i soggetti a maggior rischio di progressione della malattia”.