“Bisogni raddoppiati dal primo lockdown”, la Caritas avverte: “Più poveri con la pandemia. Il cibo non è l’unica mancanza”



Preoccupano emergenza abitativa e povertà educativa. “Temiamo per quando finirà la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti”
“A livello diocesano, dal primo lockdown a ora, c’è stato un raddoppio dei bisogni: siamo passati da 50 a 100 pacchi alimentari. Sono aumentati gli interventi per chi prima non avevano bisogno della Caritas, italiani con lavori precari e sottopagati, gente che non ha mai chiesto aiuto prima”. È l’identikit dei nuovi poveri nella diocesi di San Miniato tracciato da don Armando Zappolini, responsabile della Caritas diocesana: persone che sono sempre riuscite ad arrivare a fine mese con qualche sacrificio, che avevano un lavoro più o meno stabile, ma che sono stati travolti dalla precarizzazione portata dalla pandemia.
Il dato più evidente è l’aumento delle richieste di aiuto alimentare, raddoppiato nell’arco di un anno, ma non è l’unico: “Ci sono effetti invisibili della crisi – ha detto Zappolini – che lascerà una povertà educativa, relazionale, affettiva”. Si sono rivolte ai 17 centri di ascolto della diocesi le persone che nell’ultimo anno hanno avuto bisogno di una mano, “dimostrando una certa vergogna – ha spiegato don Zappolini – perché non avevano mai chiesto aiuto prima”. È un indicatore solido quello dell’aiuto alimentare che segnala lo stato delle cose tra le famiglie in difficoltà economica, ma è soltanto uno strato superficiale.
“C’è la questione dell’emergenza abitativa – ha avvertito don Armando Zappolini -. Assistiamo a una cronicizzazione di affitti non pagati preoccupante.Casa e lavoro sono i due fronti su cui dovremo lavorare molto, dobbiamo intercettare gli strascichi del domani. Temiamo cosa può succedere con la sospensione della cassa integrazione e del blocco dei licenziamenti”. Le difficoltà di chi già si trova in una situazione precaria rischiano di essere acuite.
“Un altro dato preoccupante – secondo il responsabile diocesano – è quello della povertà educativa: la didattica a distanza esclude troppe persone, molte delle quali erano già ai margini. In questo modo i ragazzi con dei disagi rimarranno sempre più indietro. Noi abbiamo pagato la connessione internet e telefono di alcune famiglie, così come abbiamo fornito dei tablet, ma non basta”. Cambia il ruolo della Caritas nell’anno della pandemia, che si è impegnata su più fronti per cercare di tamponare, nei limiti degli strumenti e delle risorse a disposizione, le condizioni di disagio. Dal mettere il piatto in tavola, alla scuola, fino all’impossibilità di ritrovarsi e condividere momenti insieme.
“Stiamo cercando di attrezzarci per rendere disponibili degli spazi per i giovani quando tutto questo sarà finito – ha detto Zappolini –. Perché quando saranno finiti i contagi e i morti la pandemia lascerà degli strascichi, un effetto collaterale invisibile della pandemia è lo scivolamento verso il basso che porta a solitudine, abbandono e sfiducia. Già adesso i reparti psichiatrici degli ospedali si stanno riempendo di adolescenti: per arginare a questo fenomeno noi dobbiamo costruire percorsi di inclusione”. È il volto coperto della povertà, quello della vergogna e dell’autoisolamento che non va lasciato in secondo piano. Dopo l’aiuto alimentare in prima battuta è fondamentale scavare più a fondo nelle necessità delle persone per renderle di nuovo coscienti delle loro potenzialità.
Questo, però, si fa con spazi condivisi e momenti di socialità che per adesso non sono possibili. Per il momento sono attivi i centri di ascolto della Caritas, il primo punto di approdo da cui poi si scoprono problemi più strutturali. Per avviare percorsi di inclusione sono già in cantiere alcuni progetti, come quello di Caritas Young a Montopoli Valdarno, Santa Croce sull’Arno e Ponsacco: “Strade che coinvolgono la popolazione e i cristiani”.
Altre note positive ci sono: la bella esperienza dell’emporio a Santa Croce, “nato per dare dignità alle persone che aiutiamo – ha spiegato Zappolini -. Il fatto che uno possa andare a scegliere quello che vuole rende dignità a questo servizio. Stiamo lavorando per aprire anche a San Miniato perché quello di Santa Croce sta andando molto bene. Oltre ai nostri volontari ci sono anche gli studenti dell’istituto Checchi che fanno alternanza scuola lavoro: un’esperienza di formazione che si porteranno dietro per tutta la vita”.
Le parrocchie restano il centro di reclutamento principale per donatori e volontari: la comunità è il cuore pulsante delle Caritas. Ma nell’ultimo anno è emersa anche la capacità di coordinamento e collaborazione con tutto il tessuto locale, associativo e istituzionale. “I comuni, le associazioni, le reti di distribuzione, non si sono mai trovate a gestire cifre così e questo è un lascito positivo che rimarrà in futuro”.