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4 novembre 1966: “L’Arno va di fòri”: dopo 58 anni il ricordo di chi visse l’alluvione

4 novembre 2024 | 15:00
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4 novembre 1966: “L’Arno va di fòri”: dopo 58 anni il ricordo di chi visse l’alluvione

Acqua e fango, e Firenze fu devastata

Era il 4 novembre 1966.  Quel giorno, per fortuna, era festa, e sia gli uffici che le scuole erano chiuse. Altrimenti si sarebbero pianti molti morti.

Firenze come un lago, l’area interessata fu di oltre 6 chilometri quadrati. Più di due terzi della città. Fu un’inondazione senza precedenti. L’Arno straripò prima dell’alba, intorno alle 5 di mattina. Pioveva da giorni, incessantemente. E in tanti, nella notte, nelle ore precedenti, fecero la spola tra il fiume e la casa. In pochi dormirono, per sorvegliare il livello dell’acqua, affacciati sui lungarni. Tutti alle spallette, a vedere il fiume che sotto la pioggia battente cresceva a dismisura. C’era anche il sindaco, il prefetto, c’era il genio civile e la stampa. La domanda era: dare l’allarme, suonando tutte le campane delle chiese, o evitare il panico con la speranza che nulla di brutto accadesse? La scelta fu la seconda opzione. Ma la pressione dell’acqua continuava e l’Arno ruppe gli argini.

“Va di fori l’Arno”, il grido di molti e per tanti iniziò la fuga. La furia dell’acqua marrone, che invase anche la Biblioteca Nazionale, piazza della Signoria, piazza del Duomo, piazza Santa Croce, divenne padrona di un giorno di festa e fu un susseguirsi di terrore: chi a sgomberare gli scantinati, chi, con una valigia in mano, scappava per cercare riparo altrove. L’alluvione arrivò, e dalle 8 del mattino iniziò per molti l’evacuazione. L’acqua aveva invaso prima le strade del centro, superando anche i primi piani, poi le periferie. Mancava la luce, il gas e il telefono non funzionava. Firenze rimase isolata. E continuava a piovere.

I mezzi anfibi, anche i patini e i bagnini arrivati da Viareggio e la Versilia, salvarono chi era rimasto intrappolato.

Dopo cena, verso le 22, l’Arno accennò a calare. Ma quella che rimase fu una città sommersa, e per molto tempo rimase la devastazione. Se Firenze è rinata è grazie all’impegno di tanti, primi tra tutti gli angeli del fango che arrivarono a Firenze da tutto il mondo per recuperare le tante, troppe, opere d’arte danneggiate dalla furia dell’acqua. Un patrimonio culturale dal salvare, cosi come le vite umane e le botteghe. Era il 4 novembre del 1966…

Chi scrive ricorda bene quel maledetto giorno: avevo 7 anni e frequentavo la seconda elementare alla Cairoli Alamanni, in via della Colonna. Per fortuna, era festa. La mia scuola, infatti, era a due passi dall’Arno, e la mia aula al piano terreno fu invasa da acqua e fango. Se fossimo stati li, non ci sarebbe stato scampo. La mia abitazione, in via Masaccio, fu risparmiata dalla furia dell’alluvione. La piena si fermò a poche centinaia di metri.Quella dei miei nonni materni, invece, sul viale Bernardo Segni, fu alluvionata. Il nonno era su una sedie a rotelle, con una gamba amputata per il morbo di Burger, e con la nonna Bruna furono portati via prima che l’acqua li sommergesse: oltre 2 metri di fango in casa distrussero tutto, anche i ricordi. Firenze come un lago, l’area interessata fu di oltre 6 chilometri quadrati. Più di due terzi della città. Fu un’inondazione senza precedenti. L’Arno, il mio fiume, straripò prima dell’alba, intorno alle 5 di mattina. Pioveva da giorni, incessantemente. Ricordo ancora mio babbo, avvocato in Comune a Firenze, che per tutta la notte fece la spola tra casa nostra e il fiume. Nessuno dormì. Neanche la mia mamma, affacciata alla finestra della sua camera in attesa di notizie. Ero una bambina, ma volli andare a vedere. E con il babbo, assieme a decine e decine di altri fiorentini, ci affacciammo sui lungarni, vicino a piazza Beccaria. Tutti alle spallette, a vedere il fiume che sotto la pioggia battente cresceva a dismisura. C’era anche il Sindaco, il Prefetto, c’era il Genio Civile e la stampa. La domanda era: dare l’allarme, suonando tutte le campane delle chiese, o evitare il panico con la speranza che nulla di brutto accadesse? La scelta fu la seconda opzione. Ma la pressione dell’acqua continuava e l’Arno ruppe gli argini e per tanti iniziò la fuga. La furia dell’acqua marrone, che invase anche la Biblioteca Nazionale, piazza della Signoria, piazza del Duomo, piazza Santa Croce, divenne padrona di un giorno di festa e fu un susseguirsi di terrore: chi a sgomberare gli scantinati, chi, con una valigia in mano, scappava per cercare riparo altrove. L’alluvione arrivò, e dalle 8 del mattino iniziò per molti l’evacuazione. L’acqua aveva invaso prima le strade del centro, superando anche i primi piani, poi le periferie. Mancava la luce, eravamo senza gas, al freddo, e il telefono non funzionava. Firenze rimase isolata. E continuava a piovere. Mentre dal transistor si seguiva l’evolversi dell’alluvione. Nei ricordi di bambina, è passato oltre mezzo secolo, ben 58 anni,tanta paura. I mezzi anfibi, anche i patini arrivati da Viareggio e la Versilia, salvarono chi era rimasto intrappolato. Dopo cena, verso le 22, l’Arno accennò a calare. Ma quella che rimase fu una città sommersa, e per molto tempo rimase la devastazione. Era il 4 novembre del 1966… Per non dimenticare”.