Licenziata dalla casa di cura perché non è iscritta nell’albo dei massofisioterapisti: reintegrata e risarcita

Il giudice del tribunale di Lucca ha riconosciuto l'illegittimità del provvedimento di sospensione dell'azienda che gestisce la struttura lucchese

Licenziata dalla casa di cura lucchese perché non è iscritta nell’elenco speciale dei massofisioterapisti ad esaurimento prevista dalla legge.

La lavoratrice è stata raggiunta nel febbraio 2023 da un provvedimento di sospensione senza retribuzione proprio con la motivazione di non essere iscritta nell’elenco speciale istituito dall’Ordine dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.

La dipendente ha contestato la sospensione a mezzo del sindacato e ha chiesto la reintegrazione in servizio, ricevendo però una risposta negativa.

La vicenda è così finita in tribunale e il giudice, la dottoressa Alfonsina Manfredini, ha dato ragione alla dipendente. All’interno di una normativa complessa e in parte contradditoria il giudice ha ritenuto legittima la posizione della dipendente. La sua posizione, infatti, secondo il tribunale di Lucca, “rientra a pieno titolo all’interno della categoria dagli operatori di interesse sanitario”
“Al datore di lavoro – dice il giudice – evidentemente sfugge che per lo svolgimento della mansione di massofisioterapista non è indispensabile l’iscrizione nell’elenco speciale. Esso, infatti, serve soltanto per equiparare il massofisioterapista alle professioni sanitarie e, in mancanza dell’iscrizione all’interno dell’elenco, egli rimane un operatore di interesse sanitario”.

Il tribunale, quindi, ha annullato il licenziamento e condannato il legale rappresentante dell’azienda datrice di lavoro alla reintegrazione della ricorrente con le medesime mansioni e qualifica e al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto (escludendo i ratei del Tfr) dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, nonché al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione”.

L’azienda è stata anche condannata a rimborsare le spese di lite per oltre 7300 euro.