Infarto del miocardio riconosciuto tardi nei postumi di un’operazione: casa di cura condannata al maxirisarcimento

La diagnosi tardiva ha provocato gravi conseguenze sulla funzionalità cardiaca e sulla salute del paziente. Niente rivalsa sul medico di turno di notte
Sottoposto a un intervento chirurgico in una casa di cura per una protesi alla caviglia viene colto da un infarto del miocardio riconosciuto tardivamente, tanto da provocare gravi conseguenze sulla funzionalità cardiaca e sulla salute del paziente.
I fatti risalgono al febbraio 2019. Il paziente per sottoporsi all’intervento aveva sospeso la somministrazione dei farmaci assunti, fra i quali la cardioaspirina, una settimana prima dell’intervento. Nella notte successiva all’operazione, intorno alle 2 aveva iniziato a sentire forti dolori all’addome, trattati farmacologicamente. Alle 5 ai dolori si è aggiunto un senso i nausea, sempre trattato con farmaci. Alle 11,15 del mattino viene infine effettuata l’Ecg di controllo che evidenzia un quadro clinico compatibile con l’infarto del miocardio. Di qui il ricovero d’urgenza all’ospedale dove è stata diagnosticata l’occlusione acuta dell’arteria discendente trattata con rivascolrizzazione. Dopo l’intervento, però, si sono verificati successivi problemi di salute fino alla diagnosi di un danno irreversibile al muscolo cardiaco.
La vicenda è così arrivata alla sezione civile del tribunale di Lucca davanti al giudice Giampaolo Fabbrizi, che per l’analisi del caso si è avvalso anche di un collegio dei periti. La richiesta del pazienda è quella di riconoscere la colpa alla casa di cura consistita nell’omesso tempestivo rilievo dei parametri cardiologici alle prime manifestazioni di dolore. Il danno calcolato, sia fisico sia morale, ha portato alla richiesta di oltre 160mila euro oltre alle spese di lite. La casa di cura ha a sua volta chiamato in causa il medico di guarda nelle ore notturne per esercitare eventuale azione di rivalsa, escludendo comunque in prima istanza la responsabilità della struttura in quanto gli eventi cardiovascolari sarebbero stati da attribuire alla patologia coronarica di cui il paziente già soffriva e che non sarebbero emersi dall’anamnesi del paziente.
Il giudice di primo grado si è convinto della responsabilità della casa di cura sulla base della perizia medica: in particolare sarebbe mancato il necessario approfondimento diagnostico con il dosaggio degli enzimi che avrebbe portato agilmente alla diagnosa di infarto del miocardio con repentino trasferimento del paziente a un laboratorio di emodinamica. Per questa mancanza la rivascolarizzazione sarebbe arrivata con oltre sette ore di ritardo, provocando danni più gravi al muscolo cardiaco. I consulenti hanno così ritenuto sussistente, nel caso in esame “una inadeguata condotta tecnica connessa al ritardo diagnostico di infarto acuto del miocardio e conseguente aggravamento del quadro cardiologico”. Esclusa, invece, la possibilità di rivalsa nei confronti della dottoressa medico di guardia. Tale responsabilità è possibile solo in caso di dolo o colpa grave che, in questo caso, è stata esclusa dal giudice.
Accolta, nel complesso, la domanda del paziente, cui è stato riconosciuto un risarcimento da oltre 122mila euro, oltre alla rivalutazione e agli interessi. A questi si aggiunge la condanna della casa di cura a pagare le spese di lite e di perizia, anche nei confronti della dottoressa di guardia medica chiamata in causa. Un ulteriore aggravio per le casse della struttura sanitaria, che ora dovrà valutare se ricorrere in appello.