Perde oltre 100mila euro nel crac Cirio: battaglia legale di una imprenditrice di Lucca per riavere il denaro

Il caso è finito in Cassazione: gli ermellini accolgono in parte il ricorso della donna e rinviano gli atti alla Corte d'Appello

Crac Cirio: una delle tante, troppe, pagine nere della finanza italiana. Era il 30 luglio 2003 quando la Cirio Finanziaria, una delle grandi società del gruppo Cirio, viene messa in liquidazione. La motivazione era quella dell’accertamento dello stato d’insolvenza che comporta l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria. Tutto parte da un giorno di novembre 2002 quando la Cirio Finance Luxemburg, una società di diritto olandese facente parte della holding di Sergio Cragnotti, dichiara l’incapacità di rimborsare obbligazioni per 150 milioni di euro e fa scattare il default. Da qui si viene a creare una reazione a catena che porta al crollo, mattone dopo mattone, del castello costruito dall’imprenditore romano.

Migliaia di italiani avevano acquistato titoli Cirio spesso su consiglio della propria banca. Una nota imprenditrice di Lucca aveva investito una buon parte dei suoi risparmi proprio in questa operazione deleteria e come tutti gli altri si era rivolta ai giudici perché, a suo dire, la banca non l’aveva informata dei rischi secondo le regole fissate da Consob e Bankitalia in materia, invocando la nullità dell’ordine d’acquisto da 105mila euro.  Ora nei giorni scorsi si è aperta una luce per la donna di rivedere i suoi soldi dopo tanti anni. La corte di Cassazione infatti accogliendo in parte il suo ricorso ha rinviato gli atti alla corte d’Appello di Firenze per un nuovo processo di secondo grado su due punti fondamentali, il regolamento che non sarebbe stato seguito dalla  filiale lucchese della banca alla quale si era rivolta per i suoi investimenti.

La corte d’Appello di Firenze aveva rigettato l’appello proposto dalla donna avverso la sentenza del tribunale di Lucca che aveva a sua volta respinto la domanda di accertamento e declaratoria di nullità, invalidità e risoluzione dell’ordine di acquisto titoli Cirio Finanziaria e di condanna della banca, previa restituzione dei titoli, al risarcimento del danno emergente, pari a 104.000 euro, oltre interessi e rivalutazione, e danni morali. Ma per gli ermellini, parte del ricorso è invece da accogliere, quella relativa al contratto firmato dalla donna che non conterrebbe  l’indicazione espressa della facoltà del cliente di recedere entro sette giorni dalla stipula senza spese.

Si legge infatti in sentenza: “La Corte di appello non ha statuito, neanche implicitamente, su tale profilo di invalidità dell’ordine di investimento incorrendo nel dedotto vizio di omessa pronuncia. La corte, accoglie il secondo motivo del ricorso, dichiara assorbito il terzo motivo e inammissibili il primo, quarto, quinto e sesto motivo, cassa l’impugnata sentenza, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità”. Per il crac Cirio non sono stati in molti a pagare. Soprattutto non sono emerse le responsabilità da parte degli organi di vigilanza che avrebbero dovuto controllare quello che stavano facendo gli istituti di credito quando hanno collocato i prodotti finanziari. Una parte dei 35 mila risparmiatori coinvolti ancora aspetta il rimborso delle loro obbligazioni, nonostante le strenue lotte delle associazioni dei consumatori. Un’altra parte è riuscita a chiudere accordi transattivi. Per la donna lucchese bisognerà attendere gli esiti del secondo processo d’appello. Si vedrà.

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