Scrive tre lettere di fuoco dopo il blocco del conto corrente: noto professionista condannato per diffamazione

Il pignoramento era partito per il rifiuto di pagare l’Iva della notula dell’avvocato difensore della controparte in un giudizio che lo aveva visto soccombere
Tre lettere di “sfogo” alla fine sono costate care, soprattutto in termini economici, a un noto professionista lucchese che si era visto bloccare il conto corrente per un pignoramento di soli 200 euro da parte di un avvocato all’interno di un contenzioso civile che lo aveva visto “sconfitto”.
L’uomo al termine dell’iter procedurale aveva inteso scrivere al consiglio dell’ordine degli avvocati, alla banca e all’Unep del tribunale di Lucca per sottolineare quello che riteneva essere stato un comportamento “anomalo” ma alla fine è stato condannato per diffamazione anche dalla suprema corte di Cassazione e ora dovrà pagare tutte le spese processuale più 3mila euro di multa e 3500 euro di spese di difesa.
Un salasso a fronte dei 200 euro che si era rifiutato di pagare e che poi erano state pignorate dal suo conto. La vicenda a dir poco rocambolesca e particolare era iniziata quando a seguito di una controversia civile l’imputato veniva condannato a corrispondere all’avvocato difensore di controparte, la somma di 1100 euro più spese ed Iva.
Il legale aveva così inviato all’imputato la sua notula e l’uomo aveva corrisposto quanto richiestogli, escludendo però la somma indicata a titolo di iva, ritenendola non dovuta. Il legale aveva, allora, notificato al prevenuto il relativo atto di precetto (per la somma non pagata) ed aveva poi proceduto al pignoramento di tale somma presso terzi (l’istituto bancario presso il quale aveva acceso un conto).
L’imputato aveva proposto opposizione, ma questa era stata rigettata dal tribunale di Lucca. Nelle more del processo di esecuzione, l’imputato aveva quindi inviato ai destinatari sopra indicati le lettere le cui espressioni erano state ritenute offensive ed erano state riportate agli atti del processo avviato poi per diffamazione (parlando, fra l’altro, di “irregolarità”, di “grave illecito disciplinare”, di “doppio pagamento dell’Iva”, di “sprezzante manifestazione di superiorità e sufficienza”, di “utilizzo meramente personalistico dell’attività forense”, di “utilizzare la propria posizione dominante”).
Da qui la denuncia per diffamazione e le condanne in primo e secondo grado. Nei giorni scorsi anche i giudici di piazza Cavour a cui aveva fatto ricorso l’imputato gli hanno dato torto confermando la condanna per diffamazione e soprattutto a tutte le spese legali che sommate alle pene pecuniarie diventano una somma molto alta, migliaia di euro, specie se confrontata con le 200 euro che non aveva voluto pagare ritenendo non fossero dovute. Ma gli ermellini hanno tenuto conto sia delle sue affermazioni scritte ritenendole diffamatorie sia del fatto che l’iter procedurale per le somme dovute lo aveva visto già soccombente in tribunale. Quindi la Cassazione ha stabilito che le 3 lettere fossero di fatto “gratuite”, non necessarie, fuori luogo e diffamatorie.
La sentenza della Cassazione
“Quanto alla ritenuta offensività del contenuto delle missive, anche a prescindere dal fatto che i destinatari delle stesse l’avevano ritenute effettivamente lesive della reputazione della persona offesa (contrariamente a quanto si afferma nel ricorso), il loro contenuto, per come riportato in rubrica, era evidentemente volto a offendere la reputazione dell’avvocato, mettendone in dubbio la correttezza umana e professionale, posto che lo si era, sostanzialmente, accusato di avere abusato del proprio ruolo di legale, al solo fine di vessare il prevenuto, pur avendo costui ragione nel negargli il pagamento dell’iva”. E ancora: “Altro significato, infatti, non poteva essere attribuito alle frasi che si sono anche più sopra riportate, attribuendo alla condotta del legale le seguenti caratteristiche: l’ “irregolarità”, il “grave illecito disciplinare”, il “doppio pagamento dell’iva”, la “sprezzante manifestazione di superiorità e sufficienza”, l’ “utilizzo meramente personalistico dell’attività forense”, l’ “utilizzare la propria posizione dominante”. Quanto all’avere indirizzato gli scritti ad una pluralità di persone, la Corte di merito aveva già congruamente osservato che gli stessi erano stati inviati, impersonalmente, a tre diversi enti (il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Lucca, l’ufficio Unep del medesimo Tribunale e la banca) e, quindi, destinati (ciascuno di essi) ad essere visionati da una pluralità di persone”. La persona offesa, pertanto, per la Cassazione si era limitata ad adire la via giudiziaria, disponibile per qualsivoglia cittadino che intenda recuperare, coattivamente (in assenza di spontaneo adempimento, come era avvenuto nel caso di specie con il mancato pagamento dell’Iva), un proprio credito. Non si era così avvalsa di alcuno strumento di pressione particolare, o abusivo o prevaricatorio, tale da poter sollevare dubbi sulla sua correttezza professionale. Da qui la condanna definitiva e il relativo esborso di denaro che ne seguirà inesorabilmente.
Forse pensava davvero di avere ragione ma si sa che nel processo civile “chi perde paga” e la Cassazione ha sempre costi elevati.