Niente ferie, riposi e tredicesima: condannato noto ristoratore

L’uomo aveva lavorato ed era stato assunto prima come lavapiatti nel 2019 per poi passare alla superiori mansioni di aiuto cuoco fino allo scorso anno
Quasi 3 anni senza ferie, senza riposi settimanali e senza tredicesima, quando non basta essere assunti e lavorare.
L’ennesimo caso di sfruttamento in ambito lavorativo è alla base della sentenza di ieri del tribunale di Lucca a firma del giudice Alfonsina Manfredini, che ha condannato i proprietari di un noto e prestigioso ristorante di sushi della Versilia a pagare 35mila euro di retribuzioni non corrisposte e circa 6mila euro di spese di giudizio e di lite.
L’uomo aveva lavorato ed era stato assunto prima come lavapiatti nel 2019 per poi passare alle superiori mansioni di aiuto cuoco fino allo scorso anno ma nonostante le sue richieste non era riuscito ad ottenere dal datore di lavoro i soldi che gli spettavano per legge. A quel punto ha deciso di rivolgersi tramite i suoi legali al tribunale di Lucca per denunciare l’accaduto e chiedere le differenze retributive. Dopo circa un anno di udienze il giudice ha emesso sentenza a suo favore. In aula è emerso che le sue ragioni erano meritevoli di accoglimento. I testimoni ascoltati hanno infatti confermato le sue tesi e i documenti mostrati ai giudici sono risultati veritieri.
Decisamente inquietanti alcune testimonianze, si legge infatti in sentenza: “Noi abbiamo lavorato sempre anche nei giorni festivi e in quei giorni c’era molta più clientela. Noi abbiamo avuto come giorno di non lavoro solo le giornate di lunedì e anzi, se di lunedì cadeva una giornata di festa, allora noi eravamo costretti dal datore di lavoro ad andare a lavorare”.
Non risultano infine versamenti per tfr e mensilità aggiuntive, quest’ultime nella misura dovuta, fatti estintivi della relativa obbligazione che era onere del datore di lavoro provare. Infine i proprietari del ristorante si sono rifiutati di sottoporsi ad interrogatorio e questo ha rappresentato l’ultimo elemento utile ai giudici ai fini della condanna. Spiega perfettamente sul punto la sentenza: “Ciò posto, soccorre ulteriormente la mancata risposta all’interrogatorio formale del convenuto regolarmente notiziato dell’incombente. Sul punto si condivide e fa proprio l’insegnamento della corte Suprema di Cassazione che ha avuto modo di insegnare che in tema di prove, con riferimento all’interrogatorio formale, la disposizione dell’articolo 232 del codice di procedura civile non ricollega automaticamente alla mancata risposta all’interrogatorio, per quanto ingiustificata, l’effetto della confessione, ma dà solo la facoltà al giudice di ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio, imponendogli, però, nel contempo, di valutare ogni altro elemento di prova”.
Per cui i conteggi allegati dalla difesa del lavoratore, alla nota conclusiva, contenuti nei termini di quanto è stato poi provato all’esito dell’istruttoria, sono corretti e “possono pertanto essere posti a fondamento della decisione. Il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento”. Da tutto questo la condanna al pagamento delle differenze retributive e stando alle testimonianze dei colleghi del lavoratore potrebbero venir fuori altri contenziosi. Si vedrà.