Vuole sventare una truffa facendosi giustizia da solo: condannato per rapina e lesioni

L’uomo, un 33enne della provincia di Lucca, era intervenuto a favore di un amico a cui era stato promesso lavoro in cambio di denaro
Stando al resoconto processuale aveva promesso a un suo conoscente un lavoro in una cooperativa ma si sarebbe trattato di una truffa, o questo si temeva. A quel punto l’imputato decide di intervenire a difesa della persona di sua conoscenza e durante un incontro in auto, avvenuto in Lucchesia nel 2020, per trovare un accordo sulla questione, la discussione trascende e ne viene fuori una lite molto violenta.
Il 33enne finisce per avere la meglio sull’uomo che indicava come truffatore, e dopo averlo gonfiato di botte riesce a recuperare i soldi e i documenti consegnati dalla persona che gli aveva chiesto di intercedere e scappa via senza ulteriori indugi, convinto forse solo di aver fatto un piacere ad un amico sbattendo fuori dall’auto il presunto truffaldino. Da qui viene fuori invece un procedimento penale per lesioni aggravate personali e rapina, perché l’uomo nell’andar via porta con sé anche altri oggetti del presunto truffatore.
La Cassazione nei giorni scorsi ha confermato le precedenti sentenze condannandolo anche a 3mila euro di ammenda. Il 33enne della provincia di Lucca aveva già avuto problemi con la giustizia, sempre per episodi legati all’uso della violenza, e forse proprio perché temuto era stato chiamato in ballo dal suo amico per recuperare i soldi e i documenti della presunta truffa. Non si conoscono al momento gli eventuali esiti investigativi e processuali sui fatti denunciati dall’imputato, relativi alla presunta truffa della finta promessa di lavoro in cambio di denaro o di altri procedimenti a carico dell’amico che lo avrebbe chiamato in suo aiuto per risolvergli il problema.
Durante la discussione per dirimere la controversia sulla promessa di lavoro, invece, tutto è andato storto per il 33enne che non solo ha perso la pazienza e colpito più volte il presunto truffatore per farsi giustizia da solo, ma andando via ha portato con sé altri oggetti di proprietà dell’uomo che aveva appena picchiato duramente, e per i giudici dunque ha commesso non solo il reato di lesioni ma anche quello di rapina. A nulla sono valsi i tentativi del suo legale di far derubricare i gravi reati, per cui era stato già condannato in primo e secondo grado, nel più lieve reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone.
Si legge infatti in sentenza della Cassazione: “Si deve rilevare che i motivi di ricorso non si confrontano con l’affermazione della Corte di appello secondo cui la condotta dell’imputato non si è limitata al recupero dei soldi che aveva versato alla persona offesa, ma si è estesa alla sottrazione di altri oggetti (il portafoglio, il telefono cellulare, le chiavi e la valigetta che conteneva gli oggetti); in altri termini, nessun diritto azionabile in giudizio aveva l’imputato, se non relativamente ai soldi che dichiarava avere consegnato alla persona offesa per cui, se poteva ritenersi rientrare nel reato, di cui all’articolo 393 codice penale 8esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza), la condotta tesa a recuperare esattamente quanto versato, non si può certo far rientrare l’impossessamento con violenza (non contestata) di tutto quanto eccedesse la suddetta somma”.
E infine: “Quanto alla sottrazione del telefono cellulare, il motivo di ricorso attiene al merito della vicenda (ed è perciò inammissibile nella presente sede), fermo restando che nulla si dice sugli altri oggetti dei quali si era impossessato (valigetta, portafoglio con soldi e scarpe della persona offesa)”.
Ricorso giudicato inammissibile dagli ermellini e caso giudiziario concluso. Molti i dubbi che invece restano nonostante la sentenza definitiva di condanna e tante le domande senza risposta.