La sentenza |
Cronaca
/

Cede un’abitazione all’amante in comodato gratuito, gli eredi la richiedono ma per la Cassazione il contratto è valido

11 maggio 2023 | 14:45
Share0
Cede un’abitazione all’amante in comodato gratuito, gli eredi la richiedono ma per la Cassazione il contratto è valido

L’altra donna potrà resterà nella casa fino a che persisteranno le ‘emergenze abitative familiari’ che erano la premessa dell’accordo

Oltre al danno la beffa, mai come in questo caso è lecito utilizzare questa espressione.

Cede un’abitazione a una donna con la quale aveva una relazione ad uso gratuito, dopo la sua morte la moglie e i figli provano rientrare in possesso dell’appartamento ma senza esito. E ora la Cassazione ha scritto la parola fine al contenzioso: la donna può rimanere nella casa. Dura lex sed lex.

Nel 1998 un uomo, di Lucca, concede formalmente a una donna (i nomi sono per ovvi motivi oscurati in sentenza) un appartamento in comodato d’uso gratuito finalizzato emergenze abitative familiari. In realtà, si legge, la donna già abitava in quell’immobile di Lucca da alcuni anni e quindi il contratto era stato firmato per regolarizzare una situazione di fatto. Nel 2016 l’uomo muore. E qui la vicenda già abbastanza pesante per il decesso di una delle parti in causa diventa decisamente asfissiante per i suoi eredi: la moglie e i due figli. Viene richiesto alla donna il rilascio della casa con una raccomandata ritenendo che il comodato d’uso che il loro parente aveva stipulato con lei fosse di natura precaria, e dunque risolvibile per volontà degli eredi del comodante.

Ma la terza sezione civile della suprema Corte di Cassazione, il 24 aprile scorso, ha rigettato tutti e 7 i motivi degli eredi condannandoli anche a 3mila euro di spese. La donna aveva una relazione sentimentale con l’uomo tanto che nel contratto c’era scritto che poteva usufruire anche lui dell’immobile ma non terze persone. Tanto basta a dimostrare che il contratto di comodato d’uso era stato firmato per soddisfare stabilmente i bisogni abitativi della famiglia del comodatario, e fino a quando non cessano tali esigenze non si può richiedere indietro l’immobile.

Il comodante, o in questo caso gli eredi, non potranno dunque richiedere la restituzione del bene ma potranno provare a risolvere motivatamente il contratto di comodato esercitando la facoltà di recesso in caso di sopravvenienza di un bisogno urgente e imprevisto (ad esempio, sopravvenire di un deterioramento della condizione economica del comodante tale da giustificare la restituzione dell’immobile). Questa la decisione definitiva della Cassazione.

Nel tempo la cosiddetta giurisprudenza su casi simili è cambiata e non tutte le sentenza o ordinanze della Cassazione erano arrivate a conclusioni simili ma dal 2017 in poi l’orientamento delle varie sentenza sta iniziando ad essere molto più omogeneo. Probabilmente solo un intervento legislativo potrà chiarire i termini del comodato d’uso o una decisione delle sezioni unite della Cassazione per raggiungere uniformità di giudizio in tutti i casi simili.

Nel caso di Lucca, destinato a riaprire il dibattito sul tema, la comodataria, alla richiesta di restituzione del bene e risoluzione del comodato, aveva eccepito che il contratto non aveva natura precaria, ma, essendo destinato a soddisfare il suo bisogno abitativo, aveva la durata di tale bisogno, e dunque lei aveva diritto al godimento del bene fino a che quel bisogno fosse durato. E gli ermellini le hanno dato ragione così come avevano fatto in precedenza sia il Tribunale di Lucca sia la corte d’Appello di Firenze. Scrive la Cassazione: “Secondo i ricorrenti, la corte di Appello era incorsa in contraddizione insanabile nel momento in cui, da un lato, ha ritenuto che l’immobile fosse destinato ai bisogni della famiglia, dall’altro a quelli della comodataria. La differenza, posto che esista, dal momento che, dopo la morte del comodante, la famiglia si è ridotta alla comodataria superstite, non incide sulla interpretazione dello scopo del contratto, che rimane pur sempre quello di un atto non già di durata precaria, bensì di durata coincidente con il bisogno da soddisfare, del solo comodatario o di entrambe le parti, e dunque anche del comodatario. Il motivo è infondato”.

Stessa sorte per gli altri sei motivi di ricorso tra cui quello relativo alla relazione sentimentale tra i due. Proseguono infatti gli ermellini: “Inoltre, come risulta chiaramente dalla sentenza di secondo grado, l’esistenza di una relazione sentimentale non è stata l’unica circostanza su cui i giudici di merito hanno basato la convinzione che il contratto mirava a soddisfare una esigenza abitativa, in quanto menzionano tra gli altri elementi anche la data della stipulazione e la circostanza che la comodataria abitava l’immobile già da tempo quando il contratto si è perfezionato, ed infine il fatto che v’era una clausola che ne consentiva l’uso anche al comodante. Il che significa che, da un lato, pur potendo comunque farlo, i giudici d’appello non hanno utilizzato l’interrogatorio libero come unica prova e, per altro verso, che non v’era ragione di motivare il perché di una circostanza inesistente – di aver fatto, cioè, ricorso all’interrogatorio come prova unica”.

E infine: “Ne deriva altresì l’infondatezza del quarto motivo: pur contestata che fosse la relazione, ed a prescindere dall’uso che si è fatto dell’interrogatorio libero, non è stata quella la circostanza decisiva. La Corte ha tratto il proprio convincimento da un complesso di circostanze, la cui valutazione è rimessa alla sua discrezionalità, trattandosi dell’apprezzamento di elementi di prova o di indizi”.

Tutti i motivi di ricorso sono stati respinti compreso quello relativo alla richiesta di poter dibattere in contraddittorio sul vincolo di destinazione del contratto, da qui l’ordinanza di rigetto del ricorso in luogo di una sentenza. Il caso è chiuso, il dibattito sul tema e sui fatti oggetto del procedimento giudiziario ovviamente no.