Il nipote morì dopo essere precipitato nel capannone: il giudice rimette la questione alla Corte Costituzionale

Accolta l'eccezione dell'avvocato Mattia Alfano. Il giudice fiorentino: "La sofferenza per la grande pena subita è già sufficiente per non determinare una condanna penale"

Svolta nel processo, per omicidio colposo, a carico di Dritan Bushi, lo zio del giovane Nertil che perse la vita cadendo in un capannone a Castelfiorentino. Accolta l’eccezione presentata dall’avvocato Mattia Alfano, i giudici hanno rimesso la questione alla Corte Costituzionale.

Mentre il proprietario committente era già stato condannato in rito abbreviato, l’uomo era sotto accusa per la morte del nipote, che lavorava al nero, e che aveva perso la vita dopo essere precipitato  dal tetto, dove stava posando del catrame per la impermeabilizzazione. 

“Sostanzialmente  – spiega il legale fiorentino  – il mio assistito era sotto processo per morte del nipote. La mia eccezione è stata accolta, rimettendo gli atti alla Corte Costituzionale, in quanto, anche se ci fosse stata responsabilità, nel caso di colpa modesta il giudice può fare un passo indietro. La sofferenza per la grande pena subita è già sufficiente per non determinare una condanna penale”.

“Quando si tratta di reati colposi  – precisa Alfano – , e quando l’imputato è anche vittima delle conseguenze. Pensiamo, ad esempio, a tutti i genitori condannati per la morte dei figli in incidenti o sui seggiolini”.

Quanto alla condanna  dell’imputato per i reati colposi contestatigli – scrive nell’atto il giudice del tribunale di Firenze – pare necessario il pronunciamento della Corte Costituzionale in ordine alla legittimità costituzionale dell’articolo 529 del codice di procedura penale, nella parte in cui, nei procedimenti relativi a reati colposi, non prevede la possibilità per il giudice di emettere sentenza di non doversi procedere allorché l’agente, in relazione alla morte di un prossimo congiunto cagionata con la propria condotta, abbia già patito una sofferenza proporzionata alla gravità del reato commesso”.

Dopo il tragico incidente sul lavoro, avvenuto in un capannone di Castelfiorentino, dove, dopo essere precipitato, perse la vita Nertil Bushi, sia lo zio che il collega furono indagati dalla procura, che aprì un fascicolo per omicidio colposo.

La vittima, che viveva a Soci, aveva solo 27 anni, quando cadde mentre stava posando del catrame per impermeabilizzare il tetto, sul quale stavano lavorando anche lo zio, 45enne, Dritan Bushi, e Bruno Napoli, operaio di origini calabre.

Dritan Bushi fu tra i primi a soccorrere il nipote: lo stesso giudice ricorda che all’arrivo sul posto dei carabinieri, i militari lo trovarono accovacciato vicino al corpo nel disperato, e vano, tentativo di rianimarlo.

“Si deve rilevare  – prosegue il magistrato giudicante – che i genitori, la moglie e la sorella del defunto si sono costituiti parte civile nel procedimento a carico di Bruno Napoli, separatamente giudicato, ma non nel  procedimento a carico di Dritan Bushi”.

“Qualora fosse introdotta l’auspicata possibilità per il giudice di emettere sentenza di non doversi procedere — onde evitare l’applicazione di una pena che risulterebbe sproporzionata in considerazione del dolore già patito dall’autore del reato – conclude il giudice rimettendo gli atti alla Corte Costituzionale – l’imputato potrebbe senz’altro beneficiarne”.

Uno degli aspetti principali dell’indagine fu se Nertil avesse un contratto regolare o se lavorasse al nero.