Caso Pantaleoni, i giudici: “Continue bugie e messe in scena”

Le motivazioni della sentenza: “Colpevole oltre ogni ragionevole dubbio”. Ma la difesa si appresta a presentare ricorso in Appello
Attese, dopo la lettura dei dispositivo, avvenuta in udienza, il 25 ottobre dello scorso anno, il tribunale di Pistoia ha reso note le motivazioni della sentenza di condanna a 6 anni e 8 mesi per Gianluca Pantaleoni.
L’ispettore della Polstrada, come noto, è stato assolto per i reati più gravi di riciclaggio e corruzione, per traffico di influenze illecite ed abbandono del posto di servizio, e condannato per circonvenzione di incapace e autoriciclaggio, per truffa ai danni dello stato, peculato e detenzione abusiva di proiettili e palette. I giudici hanno anche ordinato la confisca di 400mila euro e 15mila da pagare per risarcimento civile verso il ministero dell’interno oltre 3420 di spese legali.
Pantaleoni, in servizio alla Polstrada di Lucca, poi distaccato a Montecatini Terme, ed ex comandante ad interim del distaccamento di Viareggio, prima in carcere, poi ai domiciliari con tanto di braccialetto elettronico, e, infine, sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di dimora, ha affrontato il processo in presenza.
“Durante la fase cautelare – spiegano i giudici nelle loro motivazioni – alla presenza degli allora difensori di fiducia, rese due ampi interrogatori: al gip il 9 dicembre 2019 e al pm il 20 dicembre dello stesso anno, dove ammise alcune delle condotte delittuose che gli erano state contestate nella ordinanza cautelare, aprendosi così la strada ad un possibile (per lui) vantaggioso patteggiamento, soluzione processuale tuttavia inopinatamente abbandonata dall’imputato che, cambiando completamente la linea difensiva, ha scelto di intraprendere la tortuosa via di un defatigante dibattimento, all’esito del quale la sua colpevolezza, ad eccezione soltanto per alcune imputazioni, è stata provata al di là di ogni ragionevole dubbio”.
“Pantaleoni – si legge nell’atto – , infatti, previa ripetuta modifica nel corso del procedimento della sua difesa tecnica con avvicendamento di numerosi avvocati, ha deciso di ritrattare tutte le ammissioni che aveva fatto negli interrogatori, spendendo una giustificazione alquanto singolare per una persona che ha dimostrato non solo piena consapevolezza delle accuse che gli sono state rivolte, ma anche una non comune scaltrezza/avvedutezza nei comportamenti: quella cioè che la sua confessione non sarebbe stata genuina perché quando era detenuto le sue condizioni psico-fisiche erano alterate dall’assunzione di alcuni farmaci e che (questo appare davvero non credibile) sarebbe stato addirittura indotto dagli allora suoi difensori, sebbene innocente, a confessare. Il Collegio ritiene di dover subito precisare che questa spiegazione della ritrattazione della sia pure parziale confessione da parte del Pantaleoni è priva di qualsiasi credibilità, dunque del tutto strumentale a cercare di porre processualmente nel nulla quelle che erano state le sue genuine ammissioni dei fatti in contestazione” . Il poliziotto, spiegano i giudici, non aveva assunto dosi massicce di farmaci, prima di essere ascoltato, ma solo “dieci gocce, la sera per dormire, due giorni prima rispetto all’interrogatorio”. “Ennesima messa in scena da parte dell’imputato – aggiungono -, volta ad ingannare il collegio”. Quanto all’ affermazione dell’ ispettore Pantaleoni di aver subito revocato i difensori, colpevoli di averlo costretto a rendere una confessione autocalunniatoria, “è smentita – si spiega – dalla circostanza, oggettiva, che il cambio di difensore è arrivato quasi dopo un mese rispetto all’interrogatorio”. ” La confessione – si ribadisce nelle motivazioni – deve quindi essere pienamente utilizzata, in veritiera, attendibile e genuina”.
Quanto alla ludopatia, che lo avrebbe portato alla continua ricerca di denaro, come i circa 400mila euro avuti dalla donna ipovedente di Pisa, e per la quale vicenda è stato condannato per circonvenzione di incapace, anche questa, secondo i giudici, è “una menzogna”: “Nella migliore delle ipotesi – si legge nella trascrizione di un’intercettazione – potrei tentare la carta del gioco.. dico io sono iscritto al Serd. malato di ludopatia”. “L’imputato – si spiega nelle motivazioni, “una volta conosciuta la esistenza delle indagini, effettivamente si reca a Firenze per un visita, ma non al Serd, bensì da un medico privato che si occupa anche di dipendenze da gioco. Produce un documento di pagamento, indica come teste il dottore ma poi rinuncia alla sua audizione. La scelta di prendere un appuntamento con il dottore é
un’altra bugia, un’altra messa in scena”.
Nelle 21 pagine dell’atto, i magistrati giudicanti, riportano anche alcuni stralci di intercettazioni. Come quella in auto con l’allora sua compagna: “Io sono stato abituato a truffare, sono sempre andato avanti con le truffe, però son bravo, vero?”.
Poi, oltre al peculato, le munizioni e le palette ritrovate in casa, e ai certificati medici di malattia, il focus maggiore delle motivazioni è sul reato – legato all’autoriciclaggio – di circonvenzione di incapace della donna ipovedente di Pisa, invalida all’80% e assunta come categoria protetta in una banca che nelle more del processo aveva rimesso la denuncia, e revocato la costituzione di parte civile, e dei circa 400mila euro avuti dalla stessa. “La donna aveva conosciuto Pantaleoni nel 2015 nella banca dove
prestava servizio. – si legge nelle motivazioni – , nonostante l’imputato non avesse alcun conto corrente li. Nel primo anno del loro rapporto si erano limitati a prendere qualche caffè insieme. Nel 2016 la loro frequentazione si era intensificata in quanto Pantaleoni, secondo quello che ha riferito la donna, si era separato e le aveva manifestato di avere problemi economici. Si era così instaurato un rapporto nell’ambito del quale la persona offesa gli confidava di aver ingenti disponibilità economiche di provenienza ereditaria e frutto di risparmi. In virtù di questo rapporto Pantaleoni le aveva chiesto un aiuto economico che si era poi concretizzato in elargizioni pari a circa 445.000 euro complessivi, le somme di denaro venivano introitate mediante utilizzo della carta di credito della stessa di cui l’imputato aveva la materiale disponibilità, assegni in bianco, delega ad operare sul conto corrente postale ed operazioni immobiliari simulate”. “Nell’ambito delle dichiarazioni rese in sede di indagini davanti alla pg – si legge ancora – e in dibattimento, la donna ha riferito che il rapporto con il poliziotto divenuto sempre più intenso ed affettivo tanto da aver pensato di trasferirsi a Lucca per lavoro in modo da essere più vicina all’imputato, il quale aveva appoggiato la sua scelta e con cui aveva condiviso l’idea di andare a convivere. In tale contesto si colloca il viaggio che i due hanno fatto a Barcellona mese di ottobre 2016, finanziato dalla donna. La persona offesa era arrivata ad ipotizzare un progetto di vita comune insieme. Proprio per tale ragione aveva concesso l’utilizzo dei propri strumenti di pagamento e l’accesso ai conti correnti a colui che riteneva fosse il suo compagno”. Poi altri soldi, ricordano i giudici, circa 150mila euro, che la donna si era fatta dare dal padre per girarli a Pantaleoni.
“Pantaleoni – scrivono ancora i magistrati – si è reso colpevole del reato contestato, dovendosi escludere in modo netto che fra lui e la donna si sia instaurato un rapporto paritario in cui le consistenti elargizioni di denaro possano
considerarsi alla stregua d1 una mera prodigalità. E’ quasi superfluo rimarcare come sia stato depauperato il consistente patrimonio delle persone offese, in particolare quello della donna, la quale fino al pernicioso incontro con l’imputato aveva gestito in modo oculatissimo le proprie considerevoli risorse, frutto anche di anni di risparmio”. Pantaleoni, secondo il collegio giudicante, si sarebbe approfittato delle palesi condizioni di disabilità della donna e della sua vulnerabilità: “Donna sola con una forte ed invalidante disabilità fisica, prima dell’incontro con Pantaleoni non aveva avuto esperienze e/o ricevuto attenzioni da parte di altri uomini. Ciò ha costituito terreno fertile per l’imputato che l’ha costantemente ricoperta di attenzioni ed illusa che il loro rapporto potesse andare oltre l’amicizia, tanto da progettare esplicitamente di andare a convivere, dormire insieme e fare viaggi. Non sorprende, pertanto, che il padre della donna abbia riferito che la figlia fosse innamorata dell’imputato nel quale riponeva fiducia e le dava sicurezza, anche in ragione della sua professione. Risulta quindi chiaro che quest’ultimo abbia abusato di questo stato di vulnerabilità, l’abbia a lungo circonvenuta, inducendola a compiere atti per lei palesemente dannosi e di esclusivo interesse del Pantaleoni, assetato di denaro anche a causa della sua passione irrefrenabile per il gioco d’azzardo. La consapevolezza dell’imputato della suggestionabilità e della passione che la donna nutriva verso di lui, nonché la finalità di approfittare delle sue disponibilità economiche emerge in termini inequivocabili dal contenuto di significative intercettazioni”.
Ed è su questo “caso” che le intercettazioni diventano parte delle motivazioni della sentenza:“Mi provocava, voleva tromb…mi, però mi toccava sopportare perchè avevo da levargli i soldi”, e “quando mi chiedeva spiegazioni sui movimenti (bancari, ndr) allora io ho pensato a un’altra cosa, ci sposiamo, da sposato il reato di truffa decade, e prima gli faccio firmare un foglio in bianco di separazione consensuale, dopo un mese mi separo, arrivederci e grazie”.
Dai vari verbali di udienza, però, emersero da parte della donna ipovedente, che, lo ricordiamo, ha rimesso la querela e revocato la costituzione di parte civile, sue dichiarazioni in contrasto a quanto, invece, messo a verbale, durante le indagini, dinanzi alla pg:in primis che tra loro non c’era nessun tipo di relazione amorosa, e programma di convivenza o matrimonio, e che le carte di credito e il bancomat erano state utilizzate, a volte, anche insieme e che erano state comunque consegnate a Pantaleoni volontariamente.
Capitolo a parte i reati per cui il poliziotto è stato assolto, come quello, grave, di corruzione. L’accusa aveva ipotizzato che Pantaleoni avesse fornito a personaggi malavitosi targhe e modelli delle auto civetta della questura pistoiese, della quali la stessa si serve, in cambio di vantaggi patrimoniali. Cosa, questa, non avvenuta.Come gli altri, riciclaggio, traffico di influenze illecite, abbandono del posto di servizio, truffa ai danni del padre della donna cieca, mai commessi.
La difesa di Gianluca Pantaleoni, affidata all’avvocato Giovanni Cantelli, del Foro di Napoli Nord, dopo attenta lettura delle motivazioni della sentenza di condanna di primo grado, sta predisponendo il ricorso alla Corte d’Appello di Firenze, che sarà depositato nelle prossime settimane.