Non lo chiama professore e sottolinea un ammanco di 47 euro, denunciato amministratore di condominio

Dal professionista che lo aveva preceduto nell’incarico. Il Tribunale, però, rigetta il ricorso
Ex amministratore di condominio denuncia il suo successore perché nella delibera di subentro lo avrebbe diffamato e avrebbe leso la sua reputazione, il suo onore e il suo decoro, chiedendo 10mila euro di risarcimento danni. Ne dovrà pagare lui 4mila per spese di lite perché il giudice del Tribunale di Pisa, Luca Pruneti, ha rigettato il suo ricorso.
La rocambolesca vicenda era iniziata 7 anni fa in un condominio di un Comune del comprensorio del cuoio, quando l’assemblea aveva deciso di revocare l’incarico al professionista nominando un nuovo amministratore condominiale. A quel punto il suo successore aveva l’obbligo di comunicargli per iscritto tali decisioni assembleari e così ha fatto. Ma qui la vicenda diventa un contenzioso giudiziario terminato con la sentenza di primo grado dei giorni scorsi. Spesso le vicende condominiali diventano poi cause giudiziarie ma questo caso è davvero particolare e singolare per quanto riguarda i contenuti e l’oggetto del contenzioso.
L’ex amministratore, infatti, denuncia il suo successore perché nella missiva innanzitutto non gli avrebbe attribuito il titolo che gli spetta, cioè professore, ma lo avrebbe indicato genericamente usando solo il cognome, non dandogli nemmeno del “signore”, e avrebbe leso la sua onorabilità perché sempre nella stessa lettera avrebbe alluso a una possibile appropriazione indebita di 47 euro. Strano ma vero. Si legge infatti in sentenza nella parte in cui il giudice riporta le istanze dell’ex amministratore di condominio: “Nella lettera inviatagli nel 2015, il suo successore non lo ha qualificato col giusto titolo di professore e nemmeno con quello di signore, bensì con il solo cognome”.
E inoltre che nelle note al bilancio redatto dal suo successore, ed approvato dall’assemblea condominiale, il nuovo amministratore avrebbe scritto che: “Per quanto attiene i prelievi contante, sono stati eseguiti due distinti prelievi per un totale di 700 euro. In merito a questi prelievi contante, purtroppo non avendo altre pezze giustificative se non quelle delle sue dichiarazioni, sono stati imputati a spese per invio raccomandate per 652,66 euro e i rimanenti 47,34 non avendo giustificativi, riteniamo siano in mano dell’ex amministratore”. Per cui l’ex amministratore deduceva che tali espressioni, prive di fondamento, ledono la sua reputazione, integrando un’accusa di appropriazione indebita e che in conseguenza dell’accaduto infine “avrebbe sofferto un grave danno – si legge in sentenza – essendo stata incrinata la considerazione e la stima di cui ha sempre goduto come uomo e come professionista, tenuto conto, peraltro, che presso il condominio abita la figlia.
Con l’aggravante che la comunicazione è stata inviata a tutti i condomini ed è stata poi discussa in sede di assemblea condominiale”. Ma il Tribunale di Pisa è di diverso avviso in merito. Il giudice sul primo punto relativo al fatto che il suo successore non gli avrebbe dato del “professore” scrive in sentenza che si tratta di mere “questioni di etichetta, insuscettibili di acquisire la denunciata portata lesiva”. E poi sul nodo cruciale della richiesta di risarcimento danni da 10mila euro, sempre per il giudice, la lettera incriminata rientrerebbe in un legittimo diritto di critica e di opinione. Scrive infatti chiaramente il giudice: “La frase incriminata non assume il significato di attribuzione, gratuita ed offensiva, di una condotta astrattamente configurante reato, ossia l’appropriazione indebita della somma di 47,34 euro. Proprio il contesto (nota a bilanci o) in cui si colloca, volto a rappresentare ai condomini, con spirito critico, l’operato del predecessore, smentisce la natura insinuante e sostanzialmente calunniosa della chiosa, che in ogni caso è formulata in forma dubitativa e non implica alcuna condotta di appropriazione, bensì solo l’impossibilità di ricostruire alcune voci di uscita, che ben potrebbe essere determinata da un errore dell’amministratore uscente nel trattenere l’esiguo importo in questione, tenuto conto del tenore della frase e dei passaggi testuali precedenti”.
Queste le decisioni di primo grado riguardanti questo singolare contenzioso. Al rigetto del ricorso, è seguita anche inevitabilmente la condanna alle spese di lite, circa 4mila euro.