Per ottenere giustizia si affida a due legali fiorentini: assolto con formula piena noto psicanalista sardo

Gli avvocati Olmi e Caioli: "La sentenza dell'assise di appello toglie una croce durata quasi 8 anni. Il nostro assistito ha rinunciato alla prescrizione per ottenere una pronuncia di proscioglimento totale nel merito"

Per ottenere giustizia, si rivolge a un collegio difensivo toscano e si affida ai legali del Foro di Firenze, Antonio Olmi e Monica Caioli.

La vicenda riguarda un noto psicanalista sardo finito alla sbarra insieme ad un medico di base.

Si è concluso con un’assoluzione con formula piena, “perché il fatto non sussiste”, il processo in corte d’assise d’appello di Cagliari  lo scorso 7 ottobre nei confronti di uno psicanalista e di un medico di base, entrambi accusati di abbandono di persona incapace aggravato dall’evento morte (nei confronti del medico di base si procedeva anche anche per omissione di atti di ufficio).

La storia

La vittima dei presunti reati è Luciana Serri, 43enne, psichiatra trovata morta l’11 gennaio 2015 nella sua casa. La donna era sdraiata sul divano: nessun segno di violenza sul corpo e nessun segno di effrazione in casa.

La procura di Cagliari, all’epoca, assume inizialmente trattarsi di suicidio, avendo reperito in cucina, in un angolo accanto al corpo, un flacone ben chiuso di un farmaco anti psicotico, vuoto per tre quarti.

La denuncia dei genitori della donna, contro i due professionisti, viene presentata nel luglio dello stesso anno e si ipotizza inizialmente il reato di omicidio colposo in alternativa all’istigazione al suicidio

Le prime indagini inducono la procura sarda ad avanzare ben due richieste di archiviazione, non convinti della rilevanza penale di quanto denunciato, ma il procedimento penale verrà avocato dalla procura generale di Cagliari che modificherà le imputazioni in abbandono di persona incapace, aggravato dall’evento morte.

In primo grado, Giovanni Deriu, lo psicanalista, difeso dall’ avvocato cagliaritano Matteo Perra, e il medico Raffaella Vincis, difesa dall’avvocato Carmelo Idda, vengono condannati entrambi  a 2 anni e 6 mesi e 200mila euro di risarcimento danni nei confronti dei genitori per aver assecondato la vittima, eccellente psichiatra, laureata in farmacologia clinica, nella sua convinzione di non soffrire affatto di alcun disturbo bipolare e di non aver necessità di assumere il farmaco “Litio”. La Corte di Assise di primo grado ha ritenuto che i due professionisti non abbiano dato corso alla necessaria alleanza terapeutica con la psichiatra di riferimento della paziente, nonchè di aver omesso necessari contatti nel tempo con la famiglia della donna.

A luglio scorso la prima udienza di appello, con la lunga requisitoria del pg,  durata quasi 6 ore, che ha chiesto una pena di 3 anni e 6 mesi per lo psicanalista e di 3 anni e 8 mesi per il medico, ritenendoli responsabili anche per l’aggravante contestata per cui erano stati assolti in primo grado.

La difesa dello psicanalista affidata in secondo grado agli avvocati fiorentini, Antonio Olmi e Monica Caioli, ha evidenziato come la donna abbia condotto per un lunghissimo periodo di tempo una vita stimolante dal punto di vista personale, brillante dal lato accademico,  mai inibita dallo svolgimento della sua professione di medico, con nessun impedimento alla sua libertà di circolazione e alla propria facoltà di spesa e che, soprattutto, con lo psicanalista dal 2006 aveva avuto un rapporto solo a scopo formativo-professionale (la stessa intendeva dopo la laurea e specializzazione svolgere la stessa professione di psicoterapeuta) e che giammai ha svolto psicanalisi per motivi terapeutici per qualsivoglia terapia psichiatrica di cui, peraltro, mai ha dato alcuna manifestazione dinanzi a Deriu.

Per la difesa dell’imputato, in buona sostanza, la ragazza deceduta non era affatto incapace ai sensi della norma contestata, ma perfettamente in grado di provvedere a sè stessa. Dal 2014 fino alla sua morte non ha corso alcun pericolo concreto per la sua incolumità o, peggio, per la sua stessa vita per mano dello psicanalista Deriu o del medico di base.

La corte d’assise d’appello il 7 ottobre ha, dunque, assolto con formula piena (il fatto non sussiste) entrambi gli imputati

Avvocato Antonio Olmi
 
monica caioli

“E’ una sentenza molto importante perché toglie la pesante croce posta per quasi 8 anni sulle spalle del nostro assistito – il commento dei legali Olmi e Caioli -.  In appello ha avuto persino il coraggio di rinunciare alla prescrizione per ottenere una pronuncia di proscioglimento totale nel merito. Deriu è molto noto a Cagliari e in tutta la Sardegna come psicanalista esperto nella formazione di psicologi e psichiatri che intendano esercitare come psiscoterapeuti con fondamento psicoanalitico ”

Anche per la dottoressa Raffaella Vincis, medico di famiglia, è la fine di un incubo processuale – commenta l’avvocato Carmelo Idda – iniziato oltre 7 anni fa in cui si è vista dapprima accusata di omicidio colposo, istigazione al suicidio in danno di una sua paziente, la psichiatra dott.ssa Luciana Serri, per poi – dopo due richieste di archiviazione e l’avocazione delle indagini da parte della procura generale, essere giudicata per il reato di abbandono di incapace aggravato dalla morte per suicidio. Il primo grado di giudizio aveva escluso quell’aggravante ma aveva comunque condannato la dott.ssa Vincis per l’abbandono. Quel reato ad oggi risultava prescritto ma i giudici della corte d’assise d’appello, anziché dichiarare un comodo non doversi procedere per prescrizione, hanno voluto assolvere la dottoressa Vincis con la formula più ampia “perché il fatto non sussiste”, credo definitivamente accertando che, non solo la donna non fosse mai stata incapace solo perché affetta da disturbo bipolare (l’incapacità era stata esclusa dagli stessi consulenti del pm cosa che rendeva la sentenza di condanna in primo grado assolutamente incomprensibile), ma anche definitivamente cancellando l’ipotesi che si fosse suicidata (ipotesi portata ancora avanti dalla procura generale che aveva appellato la sentenza di primo grado per veder riconosciuto il suicidio come conseguenza dell’abbandono), atteso che non solo non c’era una prova dalla quale risultasse che la donna avesse assunto un sonnifero per suicidarsi (un’ autopsia non è mai stata fatta), ma anche il quantitativo di farmaco che si assumeva avesse assunto, in quel quantitativo supposto dalla procura, non avrebbe potuto avere un effetto letale. L’assoluzione ottenuta è stata accolta con enorme sollievo dalla mia assistita, nonostante tutto, non cancella l’incubo in cui si è vista precipitata da una accusa ingiusta che per oltre 7 anni l’ha screditata non solo sul piano professionale ma anche umano”.

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