La sentenza |
Cronaca
/

Muore di epatite dopo una trasfusione di sangue infetto: maxirisarcimento alla famiglia

8 settembre 2022 | 14:45
Share0
Muore di epatite dopo una trasfusione di sangue infetto: maxirisarcimento alla famiglia

Quasi un milione di euro al marito e ai tre figli della donna deceduta all’ospedale di Pontedera nel 2010: lo ha deciso la Corte d’Appello di Firenze

Ancora risarcimenti nei tribunali per trasfusioni effettuate con sangue infetto. 

Una donna nel 2010 era morta nell’ospedale di Pontedera dopo che anni prima aveva contratto l’epatite C. La Corte d’Appello di Firenze ha stabilito i risarcimenti definitivi per il marito e i tre figli. Una famiglia molto nota e stimata nel comune della Valdera aveva subito questa tragedia che per i giudici è di responsabilità unica del ministero della salute.

I giudici di secondo grado Covini, Conte e Cecchi nella sentenza pubblicata nei giorni scorsi hanno stabilito che al marito della donna deceduta spettano 331mila euro, alla figlia più piccola 256mila euro e ai due figli più grandi 246mila euro ciascuno per un totale di 1milione e 80mila euro più interessi. Il ministero dovrà pagare anche 15mila euro di spese legali. La donna si sottopose all’emotrasfusione alla fine degli anni Sessanta e sussistevano obblighi in ordine ai controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto; in tale periodo storico, era già noto che tramite il sangue si potevano contrarre patologie infettive che danneggiavano il fegato. Successivamente sono stati identificati nell’arco di 15 anni vari agenti infettivi responsabili di tali infezioni, ma già all’epoca era noto che la maggior parte delle epatiti postrasfusionali non erano attribuibili al virus A o B, tanto che venivano chiamate epatiti non A e non B (epatite C).

Si legge in sentenza: “Dal momento che il bersaglio delle infezioni post trasfusionali era comunque il fegato, evidentemente, in un periodo di mancate conoscenze, ma nel precipuo interesse di rispettare il principio di neminen ledere, la mancata determinazione delle transaminasi, – seppure tale esame avrebbe consentito d’individuare solo una parte e non la totalità dei donatori infetti – costituisce una inadempienza in nesso di causa con l’infezione epatica subita da soggetti per i quali è stato dimostrato (come nella fattispecie) il rispetto dei criteri medico legali cronologico, di efficienza lesiva e di continuità fenomenica e di attendibilità statistica. Nella fattispecie nessun esame è stato eseguito sui donatori delle sacche di sangue. Ciò evidenzia la responsabilità dell’appellato, per la violazione tanto delle norme che imponevano la visita medica del donatore, un’accurata anamnesi con esclusione dei soggetti affetti da epatite virale e l’effettuazione sugli stessi di indagini di laboratorio. Ebbene, come già detto, nel caso in esame il donatore non fu nemmeno identificato, il che dimostra che l’appellata – che come sottolineato dalla Suprema Corte non esauriva i propri compiti con l’attività di normazione secondaria – non svolse adeguatamente i propri compiti di vigilanza e controllo”.

Da queste severe e categoriche motivazioni è derivata la sentenza di risarcimento danni agli eredi.