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Pioggia di condanne per il clan Nicotra. C’erano stati anche fermi e perquisizioni in Toscana

27 aprile 2022 | 18:15
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Pioggia di condanne per il clan Nicotra. C’erano stati anche fermi e perquisizioni in Toscana

I legami con Matteo Messina Denaro con la Toscana

Ennesimo duro colpo giudiziario alla primula rossa della mafia Matteo Messina Denaro e ai suoi seguaci più vicini e fedeli. Un filo investigativo e giudiziario lega il superboss alla Toscana e alla Lucchesia ormai in maniera sempre più chiara  e precisa.

Il processo Gisella al clan Nicotra di Catania, alleati del clan Mazzei e agli ordini del superlatitante Matteo Messina Denaro, ha portato a centoquarantacinque anni di carcere complessivi, inflitti agli imputati da parte dei giudici del tribunale di Catania. “I tuppi”, dal soprannome del capofamiglia Mario Nicotra morto ammazzato nella faida con i Pulvirenti nel 1989, erano conosciuti anche come “gli scappati”, perché durante la guerra di mafia, che portò all’uccisione del loro capo a fine anni ’80, si rifugiarono proprio in Toscana dove altri “amici”, a detta dei giudici antimafia, li attendevano; poi dieci anni fa circa erano ritornati a Catania per riprendersi le loro zone.

La sentenza è stata letta nel pomeriggio di ieri (26 aprile) nell’aula bunker del carcere di Bicocca a Catania dal presidente della quarta sezione penale del tribunale di Catania Paolo Corda. Il processo “Gisella” è direttamente collegato ad altri due processi di mafia Golem e Golem 2, sempre contro Messina Denaro e i clan che lo fiancheggiano da sempre. Gli ultimi due procedimenti sono già arrivati a Cassazione, mentre il terzo, che chiude il cerchio sugli “amici” del superlatitante, è arrivato solo ieri alla sentenza di primo grado. Le condanne hanno riguardato Gaetano Nicotra (classe ’51) 20 anni, Antonio Tony Nicotra 22 anni, Antonino Rivilli 26 anni, Gaetano Nicotra (classe ’79) 14 anni, Carmelo Guglielmino 14 anni, Lucia Palmeri 12 anni, Gaetano Indelicato 6 anni e 6 mesi e 1.300 euro di multa, Francesco Spampinato 3 anni 6 mesi e 700 euro di multa, Emanuele Parisi 2 anni e 1.200 euro di multa, Giuseppe Piro 3 anni e 1.800 euro di multa, Saverio Monteleone 2 anni e 1.200 euro di multa, Vincenzo Di Pasquale 2 anni e 1.200 euro di multa, Luca Destro 2 anni e 1.200 euro di multa, Alfio La Spina 3 anni e 600 euro di multa, Gianfranco Carpino 7 anni (carabiniere condannato per corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio), Antonio Zuccarello, 6 anni e 5mila euro di multa. Il tribunale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Giuseppe Avellino perché deceduto. Il tribunale ha assolto Carlo Marchese, così come chiesto dal pm. Riconosciuto il risarcimento del danno al Comune di Misterbianco, in provincia di Catania, e all’associazione Alfredo Agosta, costituite parti civili nel processo.

I legami con la Toscana e la Lucchesia e la caccia a Matteo Messina Denaro

Nel periodo toscano i Nicotra, alleati storici di Matteo Messina Denaro, avrebbero scelto la Toscana per via di altri “amici” che già erano in zona, come hanno dimostrato le precedenti operazioni della Dda. Nel processo Golem 2, infatti, erano scattati arresti e perquisizioni anche in Toscana. Una maxi operazione attuata proprio per colpire la rete attorno al superboss latitante Matteo Messina Denaro e finalizzata a smantellare la rete dei suoi fiancheggiatori. Durante il blitz del 2010 gli investigatori della polizia di Stato avevano eseguito 19 fermi emessi dalla Dda di Palermo, ed effettuato anche numerose perquisizioni e sequestri, in particolare tra Lucca e Siena. Anche una professionista quarantenne, originaria del trapanese ma da alcuni anni residente nel centro storico di Lucca, era stata indagata per favoreggiamento personale aggravato dal metodo mafioso. Gli agenti della prima sezione criminalità organizzata della squadra mobile di Lucca avevano perquisito l’abitazione della donna, sequestrando un computer portatile, una chiavetta usb e alcune carte: tutto il materiale era stato inviato poi alla Dda di Palermo.

I poliziotti hanno perquisito anche lo studio della donna a Castelnuovo Garfagnana dove però non era stato sequestrato nulla. La donna, nubile e incensurata, secondo la polizia, aveva legami di parentela con le famiglie mafiose che, nel trapanese e nel catanese, erano alleate di Messina Denaro, favorendone la latitanza. Era stato anche chiesto il sequestro di alcune aziende che operavano nel settore della ristorazione e della distribuzione alimentare, risultate fittiziamente intestate a prestanomi di alcuni parenti di Matteo Messina Denaro e di affiliati al mandamento mafioso di Castelvetrano. Un filo che lega i tre processi a Matteo Messina Denaro (condannato anche nell’inchiesta Golem) e ai suoi più fedeli collaboratori che però lega e collega i boss di cosa nostra dell’ala che ha preso il posto dei corleonesi con la Toscana, e con le province di Prato, Siena, Arezzo e Lucca. Già in altri procedimenti giudiziari collaboratori di giustizia hanno indicato la Versilia come ultimo luogo di frequentazione del superboss prima dell’inizio della lunga latitanza ancora in corso e insieme a boss del calibro dei fratelli Graviano. La caccia a Matteo Messina Denaro continua e investigatori, inquirenti e giudici, gli stanno facendo sentire sempre più il fiato sul collo anche e soprattutto con gli arresti, i sequestri e ormai con le numerose condanne ai suoi fiancheggiatori, amici e amici degli amici, in ogni zona d’Italia, anche in Toscana.