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Freddato con cinque colpi di pistola: l’ombra dei clan della Versilia su un omicidio di 20 anni fa

27 marzo 2022 | 12:45
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Freddato con cinque colpi di pistola: l’ombra dei clan della Versilia su un omicidio di 20 anni fa

La parola passa al Riesame dopo il ricorso di uno dei due indagati. E c’è una nuova pista

Un caso di omicidio che sembrava risolto, riaperto dalla suprema corte di Cassazione che accoglie il ricorso delle due persone indagate. Sullo sfondo ritornano in ballo “i clan della Versilia” dell’epoca. Si tratta di una vera e propria esecuzione criminale avvenuta a Livorno 20 anni fa. Alfredo Chimenti (detto “cacciavite”) fu freddato a colpi di pistola la mattina del 30 giugno del 2002 in piazza Mazzini, tra le 4 e 30 e le 5.

Il 47enne fu ucciso in un vero e proprio agguato con alcuni colpi di pistola che lo raggiunsero all’addome. Il 13 settembre dello scorso anno, i carabinieri su ordine della Dda fiorentina avevano arrestato tre persone per omicidio premeditato in concorso: si tratta dei livornesi Riccardo Del Vivo, 72 anni, esecutore materiale dell’omicidio, che esplose i cinque colpi di arma da fuoco contro Chimenti; Massimo Antonini, classe 1957, il complice che avrebbe accompagnato il killer in sella ad un motoveicolo nei pressi della casa della vittima, in piazza Mazzini; Gionata Lonzi, 51 anni, che avrebbe procurato a Del Vivo la pistola, un revolver calibro 38 sapendo a cosa serviva. Tutto qesto secondo l’accusa.

L’operazione era stata denominata La Garuffa e aveva inoltre portato all’arresto di altre 11 persone (compresi i tre dell’omicidio Chimenti) per usura, estorsioni e associazione a delinquere. Per usura aggravata e concorso in omicidio finirono quindi in carcere tra agli altri anche Antonini e Lonzi dopo le dichiarazioni rese ai giudici da parte di Riccardo Del Vivo che da collaboratore di giustizia si autoaccusò dell’omicidio tirando in ballo i due indagati. I due rimasero in carcere anche dopo l’appello al tribunale del Riesame di Firenze ma ora tutto sembra cambiare e l’inchiesta ancora in fase di indagini preliminari dovrà rivedere molte cose. La suprema corte di Cassazione ha infatti accolto il ricorso dei due indagati rinviando ad altro Riesame per ulteriori approfondimenti e per colmare la lacune ravvisate dagli ermellini. E qui nelle motivazioni della Cassazione pubblicate nei giorni scorsi rientra in gioco la Lucchesia e in particolare la Versilia.

Le motivazioni degli ermellini e il “clan della Versilia”

I legali dei due indagati infatti hanno ricostruito la vicenda al suo inizio cioè quando data 16 febbraio 2017 il procedimento veniva riaperto sulla scorta delle dichiarazioni rese da Yuri Cambi (ora deceduto) che, nell’ambito di altro procedimento penale, riferiva di aver appreso dallo stesso Del Vivo che ad uccidere Chimenti era stato il medesimo Del Vivo su mandato della famiglia Musumeci di Viareggio che prendeva il nome dal boss della Versilia dell’epoca che ha poi scontato la sua pena e attualmente si è riabilitato, ma forse il suo clan era sopravvissuto all’arresto del boss seppur in diverse forme. Successivamente Del Vivo aveva intrapreso un’attività di collaborazione con l’autorità giudiziaria, dopo essere stato arrestato nell’ambito nel 2014 dalla Dda di Firenze, rendendo numerosi interrogatori nel corso dei quali ha reso ampie dichiarazioni sul gruppo criminale al quale ha appartenuto e che ha dominato la scena criminale livornese e di cui era il principale esponente, descrivendo anche i rapporti intercorsi con esponenti del terrorismo di estrema destra e con appartenenti della malavita calabrese di stampo mafioso.

Del Vivo aveva precisato che le ragioni dell’omicidio erano da ricondurre ad una serie di condotte tenute da Chimenti non gradite al gruppo criminale a lui riconducibile e aveva messo in mezzo i due indagati. I legali dei due indagati scrivono nel ricorso accolto dalla Cassazione: “Il movente indicato da Cambi era completamente diverso e non riconducibile a contrasti tra il Circolo Sporting Club e il Circolo La Garuffa, questione potenzialmente interessante la persona del ricorrente, siccome socio del Circolo Sporting Club. Esecutore era stato Del Vivo, ma su mandato di un gruppo di malavitosi catanesi (Clan Musumeci); Cambi non citava eventuali correi nell’azione materiale, ma poiché le indagini susseguenti all’ammissione da parte di Del Vivo si basano sul collante ideativo indicato nel movente, la denunciata ordinanza doveva porsi il tema della attribuzione di prevalenza in termini di credibilità alla versione di Del Vivo rispetto a quella di Cambi, tema, invece, evitato”. Da queste dichiarazioni venivano poi effettuate intercettazioni che sono alla basa dell’arresto dei due indagati. La Cassazione interviene in sentenza in maniera lapidaria. Scrivono infatti i giudici di Piazza Cavour: “Anche l’elemento della causale, in disparte la correttezza della individuazione di essa che ha operato il Tribunale del riesame, è privo di rilievo nell’ottica del riscontro alle dichiarazioni di Del Vivo, come pure sotto l’angolo visuale indiziario, poiché, per costante giurisprudenza, esso può costituire un collante tra vari indizi ed elementi di prova, ma non certo esso stesso un indizio sicché, nel caso in esame, trovandosi al cospetto di un unico elemento indiziante (le dichiarazioni non riscontrate di Del Vivo), non resta che tralasciarne la valutazione. L’ordinanza impugnata va dunque annullata con rinvio per nuovo giudizio in relazione al capo 1 (omicidio) nei confronti di entrambi i ricorrenti”.

Per i capi di imputazione di usura aggravata invece gli ermellini hanno dichiarato inammissibile i ricorsi. La parola passa dunque al tribunale del Riesame per una nuova valutazione sulle esigenze cautelari, e forse anche le indagini potrebbero prendere una piega diversa per far luce su un omicidio irrisolto da quasi 20 anni ormai.