Condannato a 9 anni per una sparatoria ma non era stato lui: colpo di scena per un 44enne dopo 3 mesi di carcere

Era stato accusato di un episodio di violenza fra bande tra S. Miniato e S. Croce. La Cassazione ha scritto la parola fine al suo calvario
Nel 2019 viene arrestato perché deve scontare una condanna a 9 anni di reclusione per una sparatoria all’interno di un regolamento di conti con altri cittadini stranieri, domiciliati all’epoca, nel 2000, tra San Miniato e Santa Croce sull’Arno, ma il 44enne di origini magrebine e residente a Prato era innocente. L’uomo alla data del ferimento infatti si trovava in carcere. La Cassazione scrive la parola fine a questa incredibile vicenda durata ben 22 anni.
I sistemi molto complessi sono destinati, di tanto in tanto, a generare anomalie, solo che quando ci sono di mezzo esseri umani è tutto molto meno digeribile e accettabile. Questa è la storia di un 44enne, di origini magrebine, che ora vive nel Pratese che dopo 22 anni ha potuto leggere finalmente la frase che tanto aspettava e che è arrivata dalla suprema corte di Cassazione: “Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, per non aver commesso il fatto”.
L’uomo nel 2000 aveva solo 22 anni e ancora non aveva compreso bene alcune cose della vita ed era quindi finito in carcere da aprile a settembre per una serie di furti. Tornato in libertà però comprende la lezione, probabilmente aiutato anche da chi si occupa di reinserimento di detenuti e decide di filare dritto. Mette la testa a posto, riesce a trovare un lavoro e una compagna e mette su famiglia. Due figli, una moglie, un lavoro, una piccola casa, insomma una vita normale e dignitosa, e mai avrebbe potuto immaginare che nel frattempo “alle sue spalle” di stava per manifestare il più incredibile degli errori giudiziari, e alla fine di tutto si potrà addirittura dire che è stato fortunato nell’immensa sfortuna che lo ha colpito, per via di quell’alibi di ferro che all’epoca avrà maledetto ma che si è rivelata poi una benedizione.
Tutto quello che poteva andare in tilt in questo meccanismo giudiziario è andato in tilt e solo nelle scorse settimane è stata scritta la parola fine all’odissea del 44enne di origini magrebine. Nell’ottobre del 2019, quasi vent’anni dopo, le forze dell’ordine lo arrestano, all’improvviso. C’è un ordine di esecuzione dell’arresto della corte d’Appello fiorentina per una condanna a 9 anni di reclusione. L’uomo viene ammanettato e portato nel carcere di Reggio Emilia per questioni di opportunità. L’uomo non sa se ridere o piangere e quando gli viene consegnato il provvedimento riesce a leggere solo che avrebbe partecipato a una sparatoria ferendo uno dei presenti, nel giugno del 2000, cioè 19 anni prima. Forse ancora stordito da quella situazione assurda che sta vivendo non fa caso alle date e contatta come nel suo diritto un avvocato. L’uomo non aveva più avuto problemi con la giustizia e il suo legale resta basito dopo quella telefonata e si precipita a Reggio Emilia per capire cosa fosse successo.
Dopo aver parlato col suo cliente l’avvocato chiede di avere tutte le carte processuali e l’intero fascicolo e scopre l’inimmaginabile. Il 44enne era stato condannato in secondo grado, con sentenza non impugnata e quindi divenuta definitiva, e nel 2008 era stato dichiarato irreperibile. Nel 2019 poi a quel punto il “latitante” era stato rintracciato e arrestato per scontare la pena a 9 anni di reclusione perché avrebbe partecipato a una serie di regolamenti di conti tra pusher di nazionalità straniera che agivano nel Pratese e dintorni e in una sparatoria avrebbe ferito altri pusher, all’epoca domiciliati tra San Miniato e Santa Croce sull’Arno per scontri tra bande rivali legate pare al mondo delle sostanze stupefacenti. Ma il legale si accorge di molte cose che non quadrano nel fascicolo, mancano infatti i documenti relativi alle cosiddette “ricerche vane” prima di stabilire l’irreperibilità, mentre l’uomo era sempre stato assolutamente reperibile, avendo casa, lavoro e famiglia, altre problematiche relative alle notifiche ma soprattutto una nota del Dap che gli apre gli occhi sul fatto fondamentale di cui nemmeno il cliente si era reso conto: la data del fatto che gli veniva contestato. Come poteva aver ferito qualcuno con un’arma da fuoco nel giugno del 2000 se l’uomo era stato in carcere ininterrottamente da aprile a settembre di quell’anno? Come era possibile che nessuno si era reso conto che l’uomo si trovava nella sua cella nel carcere di Prato quando chissà chi sparava contro un altro uomo?
L’avvocato senza perdere tempo chiede l’immediata scarcerazione al tribunale di Sorveglianza di Reggio Emilia che gliela concede e poco prima di Natale del 2019 l’uomo torna libero dopo circa 3 mesi di detenzione. Ma ora c’è da sistemare la faccenda nel merito e non solo a livello cautelare, occorre una sentenza definitiva di assoluzione, perché il 44enne è assolutamente innocente. Sentenza che arriverà solo 3 anni dopo, a seguito di processo di revisione della sentenza d’Appello di Firenze che il tribunale di Genova, competente, all’inizio aveva rifiutato per difetti formali. L’uomo ha dovuto attendere il pronunciamento della suprema corte di Cassazione per vedere la fine del suo incubo personale. Ora potrà chiedere i danni allo Stato per l’ingiusta detenzione e non solo ma alcune domande inquietanti rimarranno invece senza risposta. Perché era finito in una vicenda in cui non c’entrava nulla? Si trattava di un caso di omonimia? E chi ha sparato veramente nel giugno del 2000? Ma soprattutto: e se il suo alibi per quella data non fosse stato così inoppugnabile? La risposta, come cantava Dylan, soffia nel vento.