Delitto Romanini, il ricordo della figlia Stella: “Oggi è un giorno di tristezza”

Fu un agguato in piena regola quello avvenuto all’alba dell’8 febbraio di 11 anni fa a Camaiore: l’imprenditore fu ucciso con 15 colpi di pistola
“Come ogni anno da ormai 11 anni, l’ 8 di febbraio mi porta tristezza, ricordi indelebili di una vita strappata e di una famiglia interrotta”.
Stella, la figlia di Stefano Romanini, ucciso sotto casa da un killer rimasto ignoto, nonostante il processo sia finito con la condanna del mandante, come ogni anno ricorda il babbo.
“Nonostante tutto, siamo rimaste umili andando a testa alta – spiega – Non è facile, ve lo assicuro. Nella semplicità abbiamo ritrovato il modo di andare avanti e rivivere in memoria di mio padre, padre, lavoratore e marito di una famiglia super unita. Questo è ciò che fa onore a tutto l’orrore nonostante il dolore, sappiamo di aver dimostrato umiltà, principi e senso di dovere per ogni membro della famiglia e ci siamo rialzate. Lavoro, non lavoro, pandemia e restrizioni. Ormai nulla è più doloroso di una perdita. La vita va avanti, ma non sarà più la stessa. Mancherà sempre qualcuno o qualcosa. Ma non mancherà mai la voglia di lottare e di giustizia. Perché i nodi vengono sempre al pettine”.
Fu un agguato in piena regola quello avvenuto all’alba dell’8 febbraio di 8 anni fa a Camaiore. Una vera e propria esecuzione. L’omicida, incappucciato e armato, aveva aspettato Stefano Romanini sotto casa e quando l’imprenditore era uscito per dirigersi alla sua auto, una Golf grigia parcheggiata di fronte, iniziò a sparare: per la vittima all’epoca 46 anni, non ci fu niente da fare. Colpito dai numerosi proiettili esplosi a distanza ravvicinata dal suo assassino, l’uomo si era accasciato in terra in una pozza di sangue ed era morto poco dopo il suo arrivo all’ospedale Versilia.
Fu un’alba di sangue quella dell’8 febbraio 2011 nella centralissima via Battisti, di fronte al noto ristorante Il Centro Storico. L’imprenditore, titolare di una ditta di escavazioni, la Serena Scavi, ex Escavazioni di Stefano Romanini, sposato con Giuliana Pellegrini, casalinga, e padre di due ragazze, Serena e Stella, era uscito per andare a lavorare, come ogni mattina, ignaro che ad aspettarlo sulla strada ci fosse il suo carnefice: alto, magro, vestito di nero, cappuccio in testa e in pugno una pistola calibro 9. Mai trovato. La prima persona a dare l’allarme fu la moglie di Romanini, che sentendo i colpi di pistola si era affacciata alla finestra e aveva visto il killer fuggire a piedi imboccando via Fonda per poi dileguarsi senza lasciare traccia. La donna, sotto choc, era scesa in strada dal marito che agonizzava a terra: “Mi sento affogare”, furono le uniche e ultime parole dell’uomo colpito a morte dai proiettili. Nonostante il tempestivo intervento di un’ambulanza del 118 che lo aveva trasportato immediatamente al pronto soccorso, Stefano Romanini morì poco dopo il suo arrivo al nosocomio versiliese.
Sul posto le volanti del Commissariato di Polizia di Viareggio, all’epoca diretto da Leopoldo Laricchia, a cui furono affidate le indagini, i reparti della Scientifica che avevano eseguito i primi rilievi balistici, e la squadra mobile da Lucca, con l’allora dirigente Virgilio Russo.
L’auto di Romanini, dietro alla quale la vittima aveva cercato di trovare riparo dalla furia omicida del suo assassino, era stata completamente crivellata dagli spari. Furono esattamente quindici i colpi di pistola esplosi dal killer.
Una storia agghiacciante, con una indagine lunga oltre 2 anni, approdata, il 9 maggio 2014, con la richiesta, formulata dal pubblico ministero Fabio Origlio, di rinvio a giudizio del cugino della vittima, Roberto Romanini. La svolta nell’indagine era avvenuta nel febbraio dell’anno successivo al delitto, quando si era strinto il cerchio sul giallo. Il sicario, ad oggi, è rimasto ignoto.