Immagini pedopornografiche scaricate dal web, 47enne condannato a due anni

La Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’appello
Nel 2019 la polizia postale durante alcune indagini specifiche aveva trovato sul suo computer ben 6.393 file video e 1.385 foto che ritraevano minori nudi o seminudi, condannato definitivamente a 2 anni di reclusione dalla corte di Cassazione.
Gli ermellini gli hanno negato anche il beneficio della non menzione della pena sul certificato penale. L’uomo, 43 anni, dovrà pagare anche 3mila euro di spese processuali. Lo scorso anno già la corte d’Appello di Firenze aveva condannato l’uomo per detenzione di materiale pedopornografico, ora la condanna definitiva. Le forze dell’ordine era risalite a lui tramite internet dove erano in corso indagini per sgominare una rete nazionale di pedofili ma quando sono arrivati a casa sua per sequestrare il computer non credevano ai propri occhi. Si tratta infatti di uno dei maggiori sequestri di materiale pedopornografico degli ultimi anni in termini di quantità. L’uomo non ha commesso altri reati ma ha ammesso agli inquirenti questa sua passione morbosa e insana verso le nudità dei bambini, senza mai cercare contatti diretti.
Da qui la pena bassa che gli è stata comminata. L’uomo aveva scaricato da internet negli anni il materiale pedopornografico utilizzando un software che consente di navigare in incognito ma solo a un livello superficiale. I mezzi a disposizione degli investigatori ormai permettono alla fine di rintracciare chi visualizza e scarica materiale simile dalla rete. La scoperta era venuta fuori all’interno di indagini molto più ampie per arrivare a una rete di pedofili che invece cerca poi contatti con i minori e che comunque scambia materiale in rete con altri pedofili purtroppo spesso partendo da esperienze dirette e personali. Una piaga che è sempre più estesa di quel che potrebbe sembrare e in continua evoluzione sfruttando le enormi possibilità su internet di cercare, caricare e scambiare materiale pedopornografico. Una continua rincorsa investigativa nei confronti di queste persone, con mezzi sempre più sofisticati da entrambe le parti. Gli uni per scovarli, gli altri per non essere scoperti. Sul punto infatti i giudici di legittimità ritengono che la circostanza aggravante dell’uso di mezzi atti a impedire l’identificazione si configuri: “Nel caso in cui l’agente ponga in essere una qualunque azione volta ad impedire la sua identificazione, eludendo le normali modalità di riconoscimento, a partire da quelle relative all’accesso fisico al computer fino a quelle di inserimento nella rete stessa”. Ed infatti, dalle risultanze investigative, l’imputato aveva scaricato le immagini pedopornografiche mediante accesso ad apposito link con il sistema “tor”, che consente di navigare sui siti pedopornografici senza far comparire il proprio indirizzo ip. Tale fatto era quindi valso la contestazione della circostanza aggravante in parola. La corte di Cassazione ha quindi confermato la condanna, rigettando il ricorso e condannato il ricorrente anche al pagamento delle spese