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Vecchie e nuove mafie mettono la Toscana nel mirino: lo dice il rapporto semestrale della Dia

22 settembre 2021 | 19:00
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Vecchie e nuove mafie mettono la Toscana nel mirino: lo dice il rapporto semestrale della Dia

La nostra regione terra privilegiata per il riciclaggio. Si avvertono le mire espansionistiche dei sodalizi criminali delle comunità straniere

L’infiltrazione mafiosa in Toscana è, putroppo, una realtà. È quanto emerge dal rapporto semestrale della Direzione investigativa antimafia relativamente alla Toscana.

Il ricco tessuto socio-economico toscano, si legge, “alimenta gli interessi delle consorterie criminali che indirizzando le attività illecite su quel territorio riescono a penetrare i floridi settori dell’economia legale per il reinvestimento delle liquidità di illecita provenienza. Sebbene, infatti, le mafie non esprimano nella regione uno stabile radicamento territoriale la Toscana si conferma come una delle aree privilegiate per attività di riciclaggio e più in generale per la realizzazione di reati economico-finanziari su larga scala”.

Nell’attenta azione di monitoraggio e prevenzione del rischio di infiltrazione riferita all’attuale periodo di congiuntura economica negativa la Dia ha preso contatti diretti con diverse associazioni di categoria regionali e provinciali prospettando forme di reciproca collaborazione e attenzione verso eventuali problematiche di natura criminosa ostative al regolare svolgimento delle attività produttive.

“In talune occasioni – spiega la relazione – tale azione è stata condotta anche con le singole Pprefetture toscane come dimostrano i numerosi provvedimenti interdittivi adottati a seguito delle periodiche riunioni dei gruppi interforze costituiti presso gli Uffici territoriali del governo cui partecipa la Dia. È proprio l’interdittiva antimafia, tra l’altro, lo strumento che si rivela maggiormente efficace in una realtà come quella toscana dove l’elevata flessibilità organizzativa della criminalità organizzata appare capace di utilizzare strumentalmente soggetti autoctoni tra i quali figurano anche professionisti operanti per lo più nel mondo dell’imprenditoria e non sempre direttamente collegabili a sodalizi mafiosi. I segnali della pervasività criminale si manifesterebbero, infatti, tra l’altro per mezzo di imprese non mafiose ma comunque ‘collaborative’ con schemi giuridici sempre più raffinati attuati in collaborazione con professionisti evidentemente collusi (avvocati, commercialisti, notai eccetera). I provvedimenti hanno riguardato aziende attive nella regione e esposte a rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata calabrese, campana e siciliana”.

Nel periodo di riferimento la stessa Dia fiorentina ha seguito approfondimenti investigativi su numerosi soggetti economici, emersi dalle indagini Vello d’oro (febbraio 2018) e Vello d’oro 2 (maggio 2020) che hanno consentito al prefetto di Pisa di emettere cinque misure interdittive.  Il 15 luglio 2020, a Lorenzana la Guardia di Finanza ha arrestato, in flagranza di reato, un pregiudicato di origine campana e percettore di reddito di cittadinanza, responsabile di usura a danno di un imprenditore.

Proprio in relazione all’usura lo stesso procuratore generale Viola ha evidenziato che “può ipotizzarsi, nonostante il consistente calo del numero delle iscrizioni dei procedimenti pari a quasi il 34 per cento, la sommersione del fenomeno usurario poiché l’accertamento del reato di usura urta spesso contro l’atteggiamento delle vittime, che preferiscono sottomettersi alle pretese usurarie piuttosto che denunciarne gli autori, temendo di perdere la possibilità di potersi avvalere del ricorso a tale forma di credito nel caso di eventuali ulteriori necessità”.

Nel complesso dispositivo di prevenzione significativo risulta peraltro il protocollo di legalità dellaprefettura di Pisa, del 20 luglio, per la prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa e dei fenomeni corruttivi nell’ambito dell’appalto del nuovo ospedale di Cisanello. “Nel quadro delineato le dinamiche delittuose emerse sembrano indirizzarsi al controllo del mercato piuttosto che alla gestione del territorio. Se è vero, infatti, che la cultura mafiosa non è riuscita a contaminare il tessuto sociale della Toscana si registra tuttavia la continua emersione di spunti investigativi che vedono la presenza di appartenenti a Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra operante nella Regione”, si legge nel rapporto della Dia.

A tale proposito, il prefetto di Firenze, Alessandra Guidi, ha affermato che “in Toscana non assistiamo a un fenomeno di radicamento strutturale delle organizzazioni criminali, pur esistendo aree le infiltrazioni si sono fatte più importanti, ma non possiamo lare di controllo del territorio da parte delle organizzazioni mafiose”.

Si registrano tuttavia mire espansionistiche con connotazione tipica delle cosiddette mafie ”classiche” e si potrebbero altresì delineare ”nuove mafie” vista la forte presenza di comunità straniere cinesi in particolare ma anche romene, albanesi e nordafricane che operano talvolta con metodologie sovrapponibili ai dettami di cui all’articolo 416 bis del codice penale sia distintamente, sia in collaborazione con italiani.

Il processo di infiltrazione del tessuto socio-economico della regione evidenzia l’esigenza di una realistica presa d’atto circa la pericolosa presenza di elementi riconducibili a cosche ‘ndranghetiste. Tali consorterie sarebbero impegnate nella ricapitalizzazione dei proventi derivanti da attività illecite attraverso canali d’investimento leciti. Ne è conferma, nel semestre, l’interdittiva antimafia emessa dal prefetto di Prato nei confronti di un’impresa edile i cui soci sono risultati vicini alla famiglia dei Nicoscia di Isola Capo Rizzuto.

Nel periodo in esame non sono state registrate particolari criticità legate alla criminalità organizzata siciliana anche se i dati in possesso evidenziano la presenza sul territorio di soggetti affiliati o contigui alle varie famiglie mafiose siciliane che si sono stabiliti in Toscana. Questi opererebbero per lo più mantenendo un basso profilo in attività legate prevalentemente al riciclaggio di denaro di provenienza illecita attraverso l’acquisizione di attività commerciali e turistiche, nonché mediante l’inserimento negli appalti pubblici relativi ai settori dei servizi e delle costruzioni. Emblematico, al riguardo, il sequestro per equivalente di beni mobili immobili, per un valore di oltre 38 milioni di euro, eseguito il 10 luglio 2020 dalla Guardia di finanza di Prato nei confronti di soggetti ritenuti contigui alla famiglia mafiosa palermitana Tagliavia di Corso dei Mille.

Altro sequestro con contestuale confisca è stato operato dalla Dia il 30 novembre 2020 nei confronti di un soggetto ritenuto contiguo alla famiglia mafiosa di Palermo-Uditore e tra i principali protagonisti, negli anni Sessanta, del famigerato ”sacco di Palermo’‘ che gli consentì di realizzare un impero edile costituito da migliaia di immobili.

La prefettura di Arezzo, inoltre, ha emesso un provvedimento interdittivo nei confronti di una impresa il cui socio di maggioranza è risultato appartenente a Cosa Nostra e collegato alla famiglia catanese Santapaola-Ercolano. L’esito delle attività info-investigative del semestre hanno palesato e confermato l’inclinazione imprenditoriale anche di esponenti della camorra. L’assunto trova conferma nel decreto di sequestro emesso dal tribunale fiorentino su proposta del direttore della Dia l’1 luglio 2020. Il provvedimento ha riguardato beni mobili, immobili e finanziari per complessivi 10 milioni di euro nella disponibilità di un pregiudicato campano da molti anni residente a Montecatini, operante nel settore turistico alberghiero e legato al clan formicola di Napoli.

In tutto il territorio toscano preoccupa il dilagante fenomeno del consumo di stupefacenti che conseguentemente fa lievitare il relativo mercato illecito.Il porto di Livorno ”sembra essere divenuto una alternativa privilegiata, di sempre crescente importanza, rispetto ad altri porti quali Gioia Tauro e Genova, a fini di importazione dal Sudamerica di stupefacenti, soprattutto cocaina”.

Nell’economia criminale della regione permangono, tra l’altro, i consistenti interessi delle organizzazioni criminali straniere. Le attività di contrasto condotte nel semestre evidenziano in particolar modo la peculiarità dei gruppi criminali albanesi che oltre ad agire attraverso affilia- zioni rafforzate da legami familiari e di comune provenienza geografica non si fanno scrupolo ad operare anche in sinergia con esponenti criminali di altre nazionalità tra gli altri italiani.

Persiste l’operatività anche di sodalizi di origine maghrebina e sub-sahariana (in particolare nigeriani) operativi per lo più occasionalmente al solo fine di ottenere più facili guadagni prevalentemente nel settore degli stupefacenti, con mansioni diverse (corrieri, pusher etc). Una considerazione a sé merita la comunità cinese che conferma il proprio peso specifico di spessore specialmente nelle province di Firenze e Prato dove si concentra sia il grosso della sua popolazione, sia il maggior numero di aziende di riferimento soprattutto nel campo del tessile-abbigliamento.

Accanto alle attività legali di produzione, lavorazione e commercializzazione di capi d’abbigliamento e accessori per la moda nella comunità cinese si cela spesso un intensa rete di illegalità che va dallo sfruttamento della manodopera irregolare all’evasione fiscale, dalla contraffazione al riciclaggio di denaro, dalle violazioni in materia edilizia a quelle igienico-sanitarie, fino alle estorsioni e allo sfruttamento della prostituzione in danno quasi esclusivamente di connazionali. Sono infine emersi punti di contatto tra la comunità cinese residente in Toscana e consorterie calabresi.

Significativi nel semestre gli esiti processuali dell’indagine Habanero211 conclusa il 14 luglio 2020 dalla Guardia di finanza a Milano che ha disarticolato un sodalizio criminale composto da più soggetti alcuni dei quali contigui alla famiglia Greco di San Mauro Marchesato costituente una ‘ndrina distaccata della locale di ‘ndrangheta di Cutro attiva anche sul territorio lombardo. Secondo quanto emerso, infatti, il principale indagato inserito nella cosca citata aveva presentato richiesta e ottenuto contributi a fondo perduto per un ammontare di 45mila euro tentando di beneficiare dei finanziamenti a sostegno delle imprese previsti in concomitanza con l’emergenza sanitaria connessa con la diffusione del Covid-19.