Respinto l’appello della Solvay: dovrà effettuare i test di cessione sui rifiuti da smaltire

Lo ha stabilito oggi (5 agosto) il Consiglio di Stato confermando gli atti della Regione, dell’Arpat e del Comune di Rosignano
La Solvay di Rosignano dovrà effettuare i test di cessione su alcuni rifiuti da bonificare e smaltire.
Così ha stabilito il Consiglio di Stato che ha respinto il suo appello contro la precedente sentenza del Tar. La società aveva impugnato gli atti che approvano il piano di caratterizzazione dell’Uif 5, limitatamente alla prescrizione con questi imposta, secondo la quale in caso di rinvenimento di strati di materiale di riporto devono essere prelevati campioni di tale materiale da sottoporre al test di cessione secondo le metodiche di cui al decreto ministeriale del 5 febbraio 1998.
La regione Toscana, l’Arpat e il Comune di Rosignano avevano emanato gli atti di obbligo per la Solvay di effettuare i test prima di procedere allo smaltimento. Se il test di cessione ha esito negativo, non c’è ragione di derogare alle regole generali, e quindi la matrice di riporto, nella sua interezza, mantiene la sua natura intrinseca di rifiuto e come tale, conformemente alla legge, va in linea di principio rimossa per intero, perché appunto di rifiuto si tratta. Questo sarebbe il risultato che discenderebbe dall’applicazione della regola generale, ovvero dell’art. 192 del dlgs 152/2006; si tratta però di un risultato che nei casi concreti – si pensi solo a matrici di riporto presenti in quantità molto ingente sul suolo naturale – potrebbe essere molto difficile da raggiungere.
Se invece il test di cessione ha esito positivo, ci sono i presupposti per l’esenzione di cui al dl 2/2012, ovvero è possibile trattare la matrice di riporto alla stregua della matrice naturale suolo, perché è escluso che questa costituisca nella sua interezza un rifiuto. Secondo logica, però, ciò non esclude ogni e qualsiasi elemento di rischio, perché anche una matrice di riporto equiparata al suolo può, pur restando tale, contenere inquinanti così come li può contenere il suolo naturale. Come esempio, si può pensare a materiale di risulta di una demolizione che al test di cessione non ceda inquinanti, ma, nondimeno, sia contaminato da un certo quantitativo di sostanze pericolose sparse al suo interno. In questo caso, sussistendone i presupposti, ovvero il superamento delle soglie di contaminazione, la matrice di riporto andrà sottoposta a bonifica, così come lo sarebbe una matrice di origine naturale.
Scrivono nella sentenza pubblicata oggi (5 agosto) i giudici di Palazzo Spada: “Tutto ciò premesso, la tesi della appellante, per cui il test di cessione non avrebbe significato per i materiali presenti in un sito già sottoposto per altre ragioni a bonifica non è sostenibile. Essa infatti presuppone che si sia già dimostrato quanto deve esserlo, ovvero che la matrice di riporto presente nel sito stesso si possa trattare come matrice suolo naturale, e non come rifiuto nella sua interezza. Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere respinto”.