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Caporalato, frode fiscale e bancarotta: blitz della guardia di finanza di Firenze

9 giugno 2021 | 09:06
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Caporalato, frode fiscale e bancarotta: blitz della guardia di finanza di Firenze

Sono quattro le misure cautelari e un milione di euro sequestrati nell’ambito dell’inchiesta Panamera

Caporalato, bancarotta fraudolenta e frode fiscale. Sono quattro le misure cautelari e un milione di euro sequestrati nell’ambito dell‘indagine Panamera della guardia di finanza di Firenze, coordinata dalla procura fiorentina.

Le misure, eseguite questa mattina (9 giugno) dai militari del comando provinciale delle fiamme gialle, sono state emesse dal gip del tribunale di Firenze, su richiesta della procura. Tra le accuse anche la sottrazione al pagamento delle imposte e lo sfruttamento dei lavoratori.

Nell’ambito dell’operazione i finanzieri di Firenze hanno dato esecuzione a un’ordinanza applicativa di misure cautelari nei confronti di 4 persone, emessa dal gip del tribunale di Firenze Angela Fantechi, su richiesta del pm Christine Von Borries, e a un contestuale sequestro preventivo per equivalente per complessivi 522883 euro, a vario titolo, per bancarotta fraudolenta, frode fiscale, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e sfruttamento illecito dei lavoratori, perpetrata da soggetti sinici nelle lavorazioni conto terzi di capi di pelle.

L’articolata attività d’indagine, diretta dal dottor Giuseppe Creazzo, si inquadra in un più ampio piano di contrasto al lavoro sommerso e allo sfruttamento dei lavoratori, che, nel caso di specie, ha permesso di individuare alcuni capannoni nel comune di Campi Bisenzio ove gli imprenditori di origini cinesi, appartenenti allo stesso ambito familiare e operanti nel settore della lavorazione del pellame e della produzione di borse, sfruttavano manodopera straniera.

Le attività investigative hanno consentito di individuare una società romana, con un’unità locale situata a Calenzano, che subappaltava le proprie lavorazioni per conto terzi a una società di capitali gestita da una coppia di origini cinesi, che a sua volta demoltiplicava le lavorazioni a ditte individuali caratterizzati da una breve durata operativa e a loro ricondotte, successivamente lasciate con elevati debiti erariali, svuotate di liquidità e sostituite da altre operanti negli stessi luoghi e con gli stessi macchinari e forza lavoro.

Le attività di indagine hanno di far emergere un massivo sfruttamento di lavoratori di diversa etnia, cinesi, bengalesi e pakistani, trasportati sui luoghi di lavoro e tenuti a lavorare per circa 14 ore al giorno, con una retribuzione media oraria di poco superiore ai 3 euro l’ora. Senza riposo, i pasti venivano consumati velocemente all’interno del capannone, ove erano presenti approssimative cucine alimentate da bombole di gas. Nell’ordinanza, il giudice rileva che “emerge con chiarezza lo stato di soggezione e di sfruttamento a cui sono sottoposti i lavoratori e del fatto che … dispongano degli stessi a proprio piacimento, arrivando a ipotizzare di farli lavorare di notte pur di effettuare le consegne prestabilite” e ancora che sussistono “gravi indizi in ordine ad una condizione di sfruttamento evidenziata da macroscopiche violazioni degli orari massimi di lavoro e dell’assenza di riposi, con persone ridotte a mera forza lavoro”.

La società di capitali e le ditte individuali susseguitesi nel tempo, tra il 2013 e il 2019, hanno maturato circa 589mila euro di debiti erariali iscritti a ruolo ed evaso imposte per 522883 euro, mentre le indagini finanziarie hanno fatto emergere prelevamenti e bonifici per circa 1,2 milioni di euro.

Su istanza della procura della Repubblica di Firenze, la società di capitali e due ditte individuali sono state dichiarate fallite dal tribunale e, all’esito delle attività investigative, oltre all’accusa di caporalato, sono stati configurati, a vario titolo, reati di bancarotta fraudolenta, dichiarazione fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte nonché un’attività di raccolta e smaltimento illecito di rifiuti speciali, avendo abbandonato residui alimentari e bidoni di olio all’esterno della struttura.

Il giudice ha ritenuto di applicare la custodia cautelare in carcere per la coppia cinese poiché “le modalità con cui sono stati commessi i reati realizzati nell’arco di numerosi anni, con violazioni per così dire “a tutto tondo” nello svolgimento dell’attività di impresa realizzata ad esclusivo fine di massimizzazione del profitto in spregio di ogni norma di legge vigente, con totale evasione di imposta, evasione contributiva, e sfruttamento dei lavoratori, ed utilizzazione di prestanomi in modo da poter proseguire negli illeciti induce a ritenere indispensabile per la tutela delle esigenze cautelari la misura della custodia in carcere”.

L’ordinanza dispone il divieto di dimora nel comune di residenza con obbligo di permanenza notturna e divieto di espatrio per altre due persone di origine sinica, familiari degli arrestati, a cui si affianca il sequestro preventivo per equivalente per un importo di 522.883 euro nei confronti di questi ultimi, corrispondente all’evasione fiscale e integralmente assicurato attraverso il sequestro di alcune unità immobiliari.