Omicidio dell’argine, un vicino in carcere per la morte di Checcucci. Determinanti Dna e una telecamera




La Procura ipotizza la premeditazione. L’uomo non ha confessato
Sarebbe stato Luigi Cascino, 53 anni, siciliano di origine ma ormai da 20 anni residente a Fucecchio, a uccidere Roberto Checcucci, l’uomo trovato morto nei pressi dell’argine di Castelfranco di Sotto lo scorso 27 settembre (qui) senza documenti e identificato con certezza soltanto il giorno successivo.
L’uomo non ha confessato, ma da stamattina 24 novembre, si trova in carcere accusato di omicidio premeditato. Cascino è un vicino di casa della famiglia Checcucci, uno di quelli con in quali erano intercorsi screzi e liti ma non tali, sembravano, da scatenare una reazione del genere. Fino alla svolta di stamattina: nel suo armadietto di un’azienda nel settore dei rifiuti, i carabinieri hanno trovato abiti sporchi di sangue, un coltello e la punta di una mazza, che potrebbero essere rimasti lì dal giorno dell’omicidio.
Le indagini si sono concentrate fin da subito nella cerchia dei conoscenti di Checcucci, per comprendere che erano davvero pochi: grande camminatore e solitario, da qualche anno si era trasferito con madre e fratello a Fucecchio. Complicate, quindi, le indagini, arrivate però a una improvvisa svolta, che ha condotto i carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Pisa e della compagnia di San Miniatoe delle stazioni di Castelfranco di Sotto e Santa Croce Sull’Arno e di Fucecchio a eseguire un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Pisa su richiesta della locale Procura sulla base delle prove raccolte.
I carabinieri non hanno tralasciato nessun aspetto e più volte sono tornati a rimettere insieme fili e connessioni che sembravano non portare a niente. Lo hanno fatto anche guardando e riguardando i filmati delle telecamere oltre 2o occhi che avevano ripreso centinaia di ore di video tutti passati al setaccio in modo certosino. Il panorama uscito non è mai stato chiaro, però: si sono alternati scenari e possibili moventi, ma mai abbastanza netti da far preferire una pista a un’altra.
Determinanti, alla fine, sono stati due elementi: la telecamera che riprende l’accesso all’argine di Santa Croce sull’Arno e il Dna sotto le unghie della vittima, una persona atletica che si è ribellata con forza al suo aggressore ferendolo nella colluttazione.
“In tempi di emergenza – ha spiegato il procuratore di Pisa Alessandro Crini – le indagini per omicidio non sono banali. E’ abbastanza inconsueto che un decesso di questo tipo determini un’identificazione la sera stessa. Il povero Checcucci non aveva documenti quindi i tempi si sono allungati. Il dato di partenza che ci impressionò fu la brutalità dell’omicidio.
Da subito abbiamo notato che in un punto particolare, dove iniziano i macchioni di canne, un luogo un po’ più appartato, c’erano tracce di sangue e una mascherina in terra. Si è avuta chiara la percezione di come l’aggressione sia iniziata in un certo punto e poi continuata fino al luogo in cui è stato ritrovato il corpo: la distanza tra la macchia e l’inizio dell’aggressione è di 190 metri. Sicuramente Checcucci ha reagito: aveva un fisico reattivo, viene inseguito e finito non lontano dall’unica casa che c’era”.
E’ proprio il tentativo di difesa che ha fornito agli inquirenti le indicazioni utili a risolvere quello che sembrava destinato a restare un cold case: “Il consulente della medicina legale di Pisa ci aveva individuato il profilo genetico della persona che noi valutammo come assassino. ci disse anche che in quel Dna c’era il cromosoma Y, quindi capimmo che era un uomo”. Restava da trovare, però, quel Dna: non per forza il suo, ma anche quello di un familiare (gli appassionati di criminologia ricorderanno il caso Bossetti, arrestato come assassino della piccola Yara sulla base del Dna del padre naturale).
Questo mentre si cercava tra i frequentatori abituali dell’argine. “Abbiamo trovato – spiega ancora Crini – diverse persone, alcune delle quali conoscevano Checcucci”. Ma nessun movente tale da giustificare un omicidio tanto efferato. Compreso il fatto che, era il fratello Gilberto quello più “rissoso” dei due come lo stesso Gilberto ha sempre dichiarato. Il meno paziente diciamo e quello più incline a occuparsi delle questioni di famiglia. Tanto che, in quello archiviato come incidente, “era finito investito sotto l’auto del Cascino, con un grosso risarcimento danni da parte dell’assicurazione”. in sostanza mesi prima tra Gilberto e Cascino era scoppiato un alterco violento che era terminato con il cascino che lo aveva investito con l’auto più o meno volontariamente, dopo che questo gli aveva lanciato una motosega sulla vettura.
La svolta nelle indagini però è avvenuta quando gli inquirenti hanno visionato la telecamera sulla rampa di accesso di Santa Croce sull’Arno. Quella domenica mattina di fine settembre e in orario compatibile con quello dell’omicidio, il video mostra un uomo vestito come era emerso da altre descrizion iraccolte, un po’ circospetto, che sembra avere qualcosa in tasca: “Si tiene la tasca – racconta il procuratore – come se avesse qualcosa che pesa. Accede alla rampa subito dopo che è passato quello che noi individuiamo come Checcucci. Tempo dopo, sulla stessa rampa, il soggetto ricompare claudicante e sporco con la mano sinistra nascosta sotto il giubbotto. Il fatto lo collochiamo alle 10,10. E ritorna alle 11 per uscire dall’argine”. Seguendo le telecamere, la figura resta un paio di minuti dietro a Checcucci, poi lo avvicina, prima evidentemente di tentare l’aggressione. Le celle telefoniche comunque non hanno mai agganciano il cellulare del presunto assassino.
Ma quell’uomo, i carabinieri, pensano di averlo già visto. “Gli investigatori in quella persona- spiega Crini ritennero di riconoscere il vicino di casa siciliano”. Li conoscono, i vicini: come atto dovuto, nelle prime fasi delle indagini, li avevano chiamati per ascoltarli. Poi un altro emelmento salta agli occhi dei carabinieri che seguono le indagini quando avevano ascoltato il Cascino: l’uomo aveva accettato il caffè offerto dai carabinieri e poi si era premunito di tirare fuori il fazzoletto per pulire la tazza come a non voler lasciare traccia. Non ce ne sono, infatti, sulla tazza utilizzata dal Cascino. Ma alla fine dei sommari interrogatori ai vicini, i carabinieri una traccia riuscirono ad averla quella del dna della moglie che dopo aver bevuto il caffé, non avevando niente da temere aveva lasciato le proprie tracce e il proprio Dna sulla tazza.
Da qui l’idea veramente originale dei carabinieri per risalire al Dna del Cascino da poter comparare con quello trovato sotto le unghie della vittima. I due, marito e moglie, non sono geneticamente compatibili, ma hanno due figli: uno viene sottoposto a etilometro durante un blocco stradale e la scia il propri odna sul boccaglio. a quel punto i carabinieri avevano un negativo e doveva arrivare al positivo in termin ifotografici. isolano per confornto dal Dna del figlio quello della madre, che in buona parte su liena materna passa inalterato al figlio, e quindi quell oche riamne è la mezza elica di Dna che il figlio ha ereditato dal padre. A quel punto i carabinieri erano in possesso di un dna da comparare con quello trovato sotto le unghi della vittima.
Quando i biologi sono andati a comparare il Dna di linea paterna del filgio con quell otrovato sotto le unghi del Checcucci il quadro si è chiarito coincidevano quasi totalmente era chiaro che l’assano era il Cascino. da li poi ricosturire il contesto in cui era maturata l’idea del delitto è statao facile. Il vicino conosceva le sue abitudini, potrebbe averlo visto uscire di casa e allora avrebbe deciso di seguirlo, portandosi dietro un’arma improvvisata. Oppure, potrebbe essersi alzato presto proprio per attendere Checcucci e seguirlo in una delle sue solite e note passeggiate nella natura, in posti frequentati ma non abitati. “Abbiamo comunque ipotizzato che l’omicidio fosse stato costruito con premeditazione dall’aggressore” ha aggiunto il procuratore Crini.
secondo quanto ricosturito poi dai carabinieri sentendo varie persone rapporti conflittuali tra vicini e quindi tra i Checcucci e il Cascino per la gestione delle aree comuni in particolre di un parcheggio per l’automobile è la lettura più palusibile del movente. I rapporti si eran ofatti poi più tesi si dall’episodio dell’investimento, accaduto circa un anno e mezzo fa, ma terminato solo di recente con il cospicui risarcimento in favore di Gilberto Checcucci. Certo è, che anche su quell’episodio, le versioni dei fatti non coincidono. Tanto che per i carabinieri le indagini tal senso no nsono ancora termiante.