Alluvione, una lezione per tutti

Dopo le devastazioni in Emilia Romagna è necessario interrogarsi sull'utilizzo dei fondi del Pnrr e sulle modalità di sviluppo urbanistico dei territori

L’alluvione in Emilia Romagna ha riportato in molti la paura delle esondazioni anche sui territori più vicini a noi. Ormai ad ogni allerta gialla, arancione o rossa, oltre che gli occhi al cielo l’attenzione va ai corsi d’acqua e alle colline, fra rischi di frane e dissesto idrogeologico.

Ormai la scienza ha dichiaratamente messo in guardia da quello che fino a poco tempo fa veniva definito ‘riscaldamento globale’ (global warming) ma che più correttamente adesso, per evitare alibi e interpretazioni sbagliate, si chiama più correttamente ‘cambiamento climatico’ (climate changing). Una situazione che, sempre più frequentemente, fa assistere a situazioni estreme: siccità prolungate, ad esempio, e temporali improvvisi e devastanti. Due facce della stessa medaglia visto che la grande concentrazione di pioggia su un territorio che non riesce a riceverla e assorbirla, sia perché secco da molto tempo sia perché eccessivamente cementificato, ha un effetto drammatico sul territorio. L’acqua, infatti, cerca (e trova) quegli spazi che gli sono stati negati dall’antropizzazione o dalla modifica della consistenza dei terreni, laddove ci sono case, uffici, negozi. Creando danni per milioni, come quelli che si sono visti in queste settimane a pochi chilometri da noi, appena al di là dell’Appennino.

Che fare allora? Innanzitutto utilizzare tutti i fondi messi a disposizione dal Pnrr proprio per il contrasto al cambiamento climatico. Sono tanti e riguardano sia la riduzione delle emissioni clima alteranti sia la messa in sicurezza dei territori, soprattutto quelli montani e collinari. Sono centinaia le situazioni critiche sui territori, cui si dovrebbe aggiungere una visione che vada oltre e prevenga possibilità criticità future. Magari ‘lasciando spazio’ alla natura che altrimenti, per sue caratteristiche, se ne riappropria.

In questo senso sta l’idea del consumo zero di suolo delle più moderne teorie dello sviluppo urbanistico. Un necessario stop all’impermeabilizzazione delle terre che impedisca l’accumulo delle acque in superficie anche laddove non ci sono nelle vicinanze corsi d’acqua e canali: per l’intasamento delle fosse e delle zanelle, per la mancanza di caditoie adeguate ai nuovi fenomeni climatici, per la mancata manutenzione degli edifici in base alle mutate esigenze dei tempi e dei territori in cui insistono.

Ecco allora che, forse, occorrerebbe anche fare un passo in più rispetto al consumo zero di suolo ovvero mettere un segno negativo attraverso la demolizione di strutture ed edifici dismessi o abbandonati da tempo, per permettere il recupero di terreno vergine e permeabile. In autonomia, ricavando fondi da una parte delle voci di bilancio, per gli edifici di proprietà pubblica non storici né monumentali; attraverso incentivi alla demolizione o alla riduzione dei volumi per le costruzioni private.

In molte realtà in Toscana in questi anni si sta discutendo del rinnovo degli strumenti urbanistici esistenti. Una amministrazione, di qualunque livello e di qualunque colore politico, che davvero guardi al futuro, tenendo conto di quello che succede in territori limitrofi, dovrebbe porsi anche in questa prospettiva.

Sostieni l’informazione gratuita con una donazione

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di Toscana in Diretta, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.